Studi sul Settecento Romano

 

Rivista annuale, ANVUR classe A

 

Studi sul Settecento Romano 36

Aspetti dell'arte del disegno: autori e collezionisti, I - Antico, Città, Architettura, V

 

a cura di Elisa Debenedetti

 

 

«Le più isquisite fabbriche … intagliate in rame alla guisa di quelle di Roma»
Un atlante incompiuto dell’architettura moderna bolognese agli albori del Settecento

 

Daniele Pascale Guidotti Magnani

 

Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, inizia a diffondersi un modo nuovo di rappresentare l’architettura: non più con vedute prospettiche improntate a un gusto paesistico, ma con rigorose rappresentazioni in proiezioni ortogonali. Tale passaggio è veicolato, a Roma, soprattutto dalla tipografia della famiglia De Rossi, che, con lo scopo di favorire la conoscenza e lo studio dell’architettura romana, anche della più recente, pubblica alcune opere di straordinario valore documentale: si tratta degli Insigni Romae Templorum Prospectus (1683), dei Disegni di vari Altari e Cappelle (1688 o 1689), e soprattutto dei tre volumi dello Studio di Architettura Civile (1702, 1711 e 1721). Tali opere, destinate perlopiù ai tecnici, furono ben presto imitate in Italia e in Europa.

Finora pressoché sconosciuto è il tentativo, databile ai primi vent’anni del Settecento, di pubblicare un simile atlante a Bologna, al fine di mostrare il grado di aggiornamento (su modelli romani) dell’architettura bolognese. Il conte Vincenzo Bargellini, strettamente legato a Roma per ragioni famigliari, fece realizzare una serie di tavole improntate a quelle dei De Rossi (che Bargellini possedeva nella sua biblioteca), raffiguranti piante, sezioni, prospetti di edifici ecclesiastici e civili. Per cause economiche e organizzative, il progetto non andò oltre la stampa di poche incisioni. Nell’archivio bolognese Davia Bargellini si conservano però ben cinquantasette disegni preparatori e sette matrici in rame per quest’impresa editoriale. I disegni, dal notevole valore artistico, mettono in luce gli edifici ritenuti più significativi tra quelli bolognesi: dalle chiese e palazzi del Cinquecento maturo fino alla ancora incompiuta chiesa di S. Maria della Vita, modellata su esempi romani (S. Agnese in Agone). Alla morte di Vincenzo Bargellini, l’opera fu portata avanti da Giuseppe Antonio Landi, che diede alle stampe diverse facciate di palazzi, scelti non a caso tra quelli più vicini ai modelli romani.

 

Between the end of the 17th and beginning of the 18th century, a new way of representing architecture began to spread: no more perspective views with landscapes but rigorous representations in orthogonal projections. We have above all, the Rossi family’s typography in Rome who with the idea of promoting expertise and studies on Roman architecture, even the most recent, published some extraordinary works of documentary value: i.e. Insigni Romae Templorum Prospectus (1683), Disegni di vari Altari e Cappelle (1688 or 1689), and above all, the three volumes of Studio di Architettura Civile (1702,1711 and 1721). They were mainly for technicians but were soon imitated in the rest of Italy and Europe.

There was a virtually unknown attempt to publish a similar atlas in Bologna in the 1720’s to show it’s update grade in architecture (on Roman models). Count Vincenzo Bargellini, closely tied to Rome for family reasons, had a series of tables made based on the De Rossi ones (Bargellini kept them in his library), depicting plants, sections, prospects of ecclesiastical and civil buildings. For economical and organizational reasons, the project never went further than the printing of a few engravings. There are however, in the Bolognese archive, Davia Bargellini, fifty seven preparatory drawings and seven copper matrices for this publishing company. The drawings have a remarkable artistic value highlighting the most significant buildings in Bologna i.e. the churches and palaces of the mature sixteenth century to the still incomplete church of S. Maria della Vita, using a Roman example (S. Agnese in Agone). After Vincenzo Bargellini’s death, it was completed by Giuseppe Antonio Landi, who gave the press several building façades chosen, not surprisingly, among those closer to the Roman models.

 

 

La Chiesa di San Girolamo in Campansi
«nella magnificenza e grandezza come si vede hoggi»:
Agostino Chigi e il progetto di Giovan Battista Contini con i fratelli Francesco, Giovanni Antonio e Agostino Mazzuoli (1681-1685)

 

Bruno Mussari

 

La Chiesa di San Girolamo in Campansi rappresenta uno degli esempi più interessanti di architettura tardo barocca senese che si conserva nella sua quasi totale integrità. La documentazione inedita conservata in Vaticano e all’Archivio di Stato di Siena ha consentito di ripercorrerne le fasi costruttive e di allestimento dell’interno. Un primo progetto per una nuova chiesa, predisposto da Benedetto Giovannelli Orlandi al principio della seconda metà del XVII secolo, probabilmente su richiesta Alessandro VII, non venne realizzato. Fu Agostino Chigi, Principe di Farnese e nipote del Pontefice, che tra il 1681 e il 1685 fece erigere la nuova chiesa, progettata dal suo architetto, l’accademico di San Luca Giovan Battista Contini, condotta da maestranze senesi e da noti artigiani e artisti di ambito romano che gravitavano frequentemente nei cantieri chigiani. Alla sobrietà priva di accenti dell’esterno della chiesa, che sembra preannunciare una nuova sensibilità coerente con il contesto senese, si contrappone un interno che, pur se di dimensioni contenute, mostra il compimento di un programma progettuale unitario. Una equilibrata combinazione di architettura, pittura e scultura concorre a creare uno spazio in cui si coglie la traccia della scuola romana di matrice berniniana, espressione di un consolidato legame tra Roma e Siena alimentato dalla nobile committenza: un innesto significativo che avrebbe lasciato il segno nella città toscana e a cui sono riconducibili le diffuse interpretazioni degli epigoni locali.

 

The San Girolamo in Campansi church represents one of the most interesting examples of late Baroque Sienese architecture that is preserved in it’s almost total integrity. The unpublished documentation kept in the Vatican and the State archive of Siena have allowed us to trace the internal construction and installation phases. An initial project for a new church, planned by Benedetto Giovannelli Orlandi at the beginning of the second half of the 17th century, probably at Alexandro VII’s request, was not built. Whereas Agostino Chigi, Prince of Farnese and the pontiff’s nephew, who between 1681 and 1685, had the new church built. It was designed by his architect, Giovan Battista Contini, academic of San Luca, using Sienese workers and well-known artisans and artists from Rome’s district, who frequently gathered round the Chigi construction sites. To the simple sobriety of the church’s exterior, as though a new sensibility is being announced, coherent with the Siena context, we have in contrast, an interior which, although small in size, appears to have a single project programme. A balanced combination of architecture, painting and sculpture creating a space in which one can trace the Roman school of Bernini origin, expression of a consolidated tie between Rome and Siena fostered by the noble client: a significant graft which would have left its mark in the Tuscan city with widespread interpretations of the local imitators.

 

 

L’ampliamento settecentesco dell’ospedale Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina

 

Fernando Bilancia

 

All’inizio del Settecento i padri di S. Giovanni Calibita dell’Ordine di S. Giovanni di Dio detti Fatebenefratelli decisero di ampliare il loro ospedale sull’Isola Tiberina. A questo fine il 30 giugno 1702 Clemente XI diede ordine alla presidenza delle strade di donare loro una piazzetta retrostante l’ospedale, donazione che venne effettuata il 21 agosto 1703. I padri acquistarono quindi vari immobili adiacenti la suddetta piazzetta necessari per erigere la nuova corsia. Dai documenti inediti reperiti dall’autore risulta che la costruzione del nuovo edificio iniziò tra la fine del 1703 e l’inizio del 1704, e venne portata a termine alla fine del 1709. I lavori furono eseguiti prima dal capomastro Nicolangelo Aldini e, dopo la sua morte avvenuta nel 1703, da suo figlio Giovanni. L’architetto che progettò l’opera fu probabilmente Luigi Barattone. In appendice è trascritta la misura e stima dei lavori di muratura e di stuccatura effettuati da Giovanni Aldini per condurre a termine la costruzione e realizzare la sontuosa decorazione di cui è rimasto soltanto un arcone. Tale documentazione è di particolare interesse in quanto la corsia in questione è di fatto scomparsa in seguito ai lavori di ristrutturazione dell’ospedale eseguiti negli anni Trenta del Novecento. Con l’occasione sono riportate anche alcune notizie coeve riguardanti la tenuta del Cavaliere, che all’epoca era di proprietà degli stessi padri.

 

At the beginning of the eighteenth century, the S. Giovanni Calibita fathers, of the S. Giovanni di Dio Order, called Fatebenefratelli, decided to enlarge their hospital on the Tiber Island. So on June 30, 1702 Clement XI ordered the presidency of the streets to donate a small square behind the hospital to them, this was carried out on August 21st, 1703. The fathers bought various adjacent properties of the above mentioned square in order to build the new ward. The unpublished documents found by the author show that the construction of the new building began between the end of 1703 and the beginning of 1704 and was finished by the end of 1709. The construction began with the master builder, Nicolangelo Aldini and after his death in 1703 by his son, Giovanni. The architect was probably Luigi Barattone. Transcribed in the appendix we have the measurements and estimates of the masonry and plastering work carried out by Giovanni Aldini in order to finish the construction and create the sumptuous decoration, the arch is all we have left. This documentation is particularly interesting since the ward in question has since disappeared due to the reconstruction of the hospital during the 1930s. Some coeval news concerning the Knight’s estate are also included, which at the time used to belong to the same fathers.

 

 

Gaspar van Wittel e i Colonna:
le acquisizioni di Lorenzo Onofrio e di Filippo II e la formazione della raccolta di vedute del principe Marino Francesco Caracciolo

 

Tiziana Checchi

 

Il saggio offre un contributo alla ricostruzione del legame privilegiato che strinse Gaspar van Wittel ai Colonna, già ricordati da Lione Pascoli tra i principali committenti e collezionisti del vedutista olandese. Grazie al rinvenimento di documenti inediti è stato possibile delineare i rapporti intercorsi con il contestabile Lorenzo Onofrio (1637-1689) e con il figlio Filippo II (1663-1714), nonché il formarsi del primo nucleo di vedute posseduto dai Colonna, ammontante a ben trenta opere del pittore olandese. Se con ogni probabilità i primi contatti avvennero tramite Cornelis Meyer o grazie alla frequentazione della bottega di Pellegrino Peri, a Lorenzo Onofrio risale la prima acquisizione di due opere dell’artista, identificabili con le vedute raffiguranti Piazza del Popolo e Piazza Navona, datate 1688 e tuttora conservate nella residenza ai SS. Apostoli. Con il successore Filippo II, divenuto contestabile nel 1689, i rapporti col van Wittel divennero più profondi e assidui, sostanziati da un interesse e da una committenza qualificati che portarono il Colonna ad acquistare ben ventotto vedute, molte delle quali ancora presenti nella quadreria. I dipinti furono in gran parte commissionati o comprati direttamente dall’artista, mentre solo in un caso è testimoniata l’acquisizione di sette opere da un intermediario, il noto collezionista e commerciante di antichità Marco Antonio Sabbatini. Nel suo insieme la raccolta offriva uno sguardo variegato sulla produzione dell’Olandese, con una predilezione per le vedute di Roma e di Venezia, per i dintorni dell’Urbe e per i possedimenti del Casato, cui si aggiungevano vedute delle Isole Borromeo, forse divenute familiari a Filippo II grazie alla frequentazione dell’architetto Carlo Fontana, nonché delle vedute ideate. Oltre ad acquistare dipinti per la propria collezione e ad introdurre il pittore nella corte del viceré di Napoli, Luis della Cerda, Filippo si fece anche mediatore tra Gaspar Van Wittel e Marino Francesco Caracciolo, V principe di Avellino (1668-1720): dai documenti rinvenuti, infatti, emerge il ruolo centrale avuto dal Contestabile nel favorire l’acquisizione da parte del Caracciolo di almeno nove vedute dell’Olandese, ormai disperse in vari musei, di cui cinque ora possono essere datate con certezza.

 

This paper offers a contribution to the reconstruction of the privileged tie between Gaspar Van Wittel and the Colonna family, among the main customers and collectors of the Dutch landscape artist, already mentioned by Lione Pascoli. Thanks to the discovery of unpublished documents we were able to outline his relationship between Constable Lorenzo Onofrio (1637-1689) and his son Philip II (1663-1714), as well as the formation of the first nucleus of views in the Colonna family’s possession, amounting to thirty works by the Dutch painter. The first contacts were probably made through Cornelis Meyer or visits to Pellegrino Peri’s workshop. Lorenzo Onofrio was the first person to buy two views by the artist, one of Piazza del Popolo and the other of Piazza Navona, dated 1688 and still kept in the SS. Apostoli residence. With Philip II, the successor who became Constable in 1689, the relationship with Van Wittel became more intense, which brought Colonna to buy twenty-eight views, most of which are still present in the picture gallery. The paintings were mostly commissioned or bought directly from the artist. We can testify that only in one case seven works were bought through an intermediary, the well-known collector and antique dealer, Marco Antonio Sabbatini. On the whole the collection offered a multiple vision of the Dutchman’s production, having a preference for views of Rome and Venice, Rome’s outskirts, the House estates, views of the Borromeo Islands, probably thanks to Philip II’s friendship with Carlo Fontana, the architect, plus some ideal views. Apart from buying paintings for his own collection and introducing the painter to Luis della Cerda, Viceroy of Naples, Philip was also the mediator between Gaspar Van Wittel and Marino Francesco Caracciolo, V Prince of Avellino (1668-1720): the documents reveal the Constable’s central role in favouring Caracciolo’s purchase of at least nine views by the Dutchman, now scattered in various museums, five of which can now be reliably dated.

 

 

Aggiunte a Gaspare Sibilla ed i suoi rapporti con Pietro Bracci e figli

 

Rita Randolfi

 

Il saggio ripercorre brevemente la carriera dello scultore restauratore Gaspare Sibilla, mettendone in luce come l’alunnato presso Pietro Bracci ne abbia influenzato non solo lo stile, ma sia stato determinante anche per il contatto con committenti di prestigio, che gli hanno attribuito incarichi. Il rapporto tra Sibilla ed i Bracci non si esaurisce con Pietro, ma prosegue con i figli di questi, in particolare con Virginio e Filippo, che non solo introducono lo scultore nell’entourage della famiglia Lante, ma gli fanno ottenere anche una, allo stato attuale degli studi l’ultima, commissione autonoma, l’esecuzione del busto del papa Pio VI per la chiesa di S. Lorenzo martire nel bonificato paese di S. Lorenzo nuovo nel viterbese. Forse la soddisfazione per la buona riuscita del ritratto convinse il pontefice a ordinare allo scultore una statua colossale di se stesso, incarico portato a termine da Agostino Penna per la sopraggiunta e improvvisa morte del Sibilla.

 

The paper is a brief summary regarding the sculptor/restorer Gaspare Sibilla’s career, bringing to light how the apprenticeship with Pietro Bracci influenced not only his style, but was also determinant in getting contacts with prestigious clients, and therefore the assignments. The relationship between Sibilla and the Bracci’s does not end with Pietro but continues with his children, particularly Virginio and Filippo, who not only introduce the sculptor into the Lante family’s entourage, but they also help him get, at the current state of the last studies, an autonomous commission for pope Pius VI’s bust for St. Laurence the martyr’s church in the restored/new town of St. Laurence in the Viterbo region. Perhaps the pleasing result of the portrait then convinced the pope to order a colossal sculpture of himself, completed by Agostino Penna due to Sibilla’s sudden death.

 

 

Gli anni giovanili di Vincenzo Camuccini (1771-1844).
Considerazioni sulla sua formazione pittorica

 

Monica D’Amicis

 

La formazione pittorica di Vincenzo Camuccini (1771-1844), tradizionalmente ricondotta ad un apprendistato presso lo studio di Domenico Corvi, viene qui ripercorsa alla luce di nuove considerazioni emerse dall’analisi delle fonti e del materiale documentario e grafico conservato presso gli eredi dell’artista. In particolare, si propone una diversa lettura del rapporto tra Camuccini e Corvi, assegnando a quest’ultimo un ruolo meno incisivo di quanto finora rilevato, e avvalorando l’ipotesi di un percorso formativo più complesso e fatto di molteplici esperienze, alcune strettamente connesse al fertile clima di scambio culturale della Roma tardo settecentesca. Una particolare attenzione è riservata alla definizione del ruolo determinante svolto da Pietro Camuccini (1760-1833), fratello maggiore di Vincenzo, nella formazione di quest’ultimo, soprattutto nell’indirizzarlo verso i modelli dell’Antico e della pittura classicista di Cinque e Seicento. In questo scenario, ulteriori elementi assumono una nuova importanza, in primo luogo la partecipazione dell’artista alle accademie private, come quelle promosse da Felice Giani, dall’Abate Conti e da Tommaso Piroli; ma anche l’assiduo tirocinio condotto in autonomia sui capolavori delle collezioni romane, l’osservazione dei cadaveri scorticati presso l’Ospedale di Santo Spirito, lo studio della prospettiva al seguito di Mario Asprucci e quello della storia e degli autori classici presso Ennio Quirino Visconti. Tutti aspetti che contribuiscono a tracciare con maggiore chiarezza le fasi formative di un protagonista assoluto della stagione neoclassica.

Lo sviluppo artistico di Vincenzo dovette molto all’operato del fratello, la cui importanza emerge più chiaramente alla luce di un ridimensionamento del ruolo svolto da Domenico Corvi nell’ambito dell’apprendistato di Camuccini; apprendistato che non può essere ricondotto unicamente ad un tradizionale tirocinio a bottega, ma va considerato alla luce di una molteplicità di esperienze strettamente connesse alle possibilità offerte da Roma come capitale delle arti. Si propone dunque una rilettura del tirocinio camucciniano, che assegna al Viterbese un ruolo meno incisivo sulla formazione del più giovane pittore di quanto non sia stato finora rilevato.

Di contro, è emersa con più chiarezza l’autonomia delle scelte formative di Vincenzo, il suo continuo esercizio sui capolavori, il libero accostarsi a diversi maestri e la sua presenza presso le accademie private, compresa quella di Felice Giani, che si distingueva per alcuni caratteri di originalità.

A tale proposito, ulteriori elementi sono offerti dalle fonti, che raccontano, seppure spesso in maniera sporadica, di un giovane Camuccini frequentatore delle lezioni di nudo tenute negli studi privati degli artisti, partecipe di quell’esperienza unica che fu l’Accademia de’ Pensieri di Felice Giani, e promotore a sua volta di un’iniziativa simile nella sua abitazione romana. E raccontano anche, insieme ai documenti e ai disegni superstiti, di un apprendista continuamente impegnato nella copia dei capolavori, direttamente o attraverso le stampe; che nei mesi invernali, tra i quindici e i diciassette anni, si recava all’Ospedale di Santo Spirito per studiare l’anatomia sui cadaveri e che si mise al seguito di Mario Asprucci per imparare i principi dell’architettura; chiedeva consiglio a Ennio Quirino Visconti per le composizioni storiche, e si istruiva sugli autori classici e i manuali di storia e di costume antico. Uno scenario più complesso, dunque, al di là dell’apprendistato presso Domenico Corvi, di quanto finora messo in luce dalla critica, ma che è già in parte emerso dalle considerazioni di Stefano Grandesso e Federica Giacomini.

 

Vincenzo Camuccini’s pictorial education (1771-1844), traditionally attributed to an apprenticeship with Domenico Corvi, is here retraced due to new considerations brought to light by analysing documentary and graphic material kept by his heirs. In particular, a consideration regarding Camuccini’s relationship with Corvi, whose role was less incisive as reported so far, and corroborating the hypothesis of a more complex training and made of multiple experiences, some strictly connected to the fertile climate of cultural exchanges during Rome’s late 18th century. Particular attention is given to Vincenzo’s older brother, Pietro Camuccini (1760-1833), and the decisive role played in his formation, above all by directing him towards the Antique models and the Five and Six hundred classicist paintings. In this scenario, other elements acquire new importance, to begin with the artist’s participation in the private academies, like the ones promoted by Felice Giani, Abate Conti and Tommaso Piroli; not to mention his constant copying the masterpieces of the Roman collections, his observations on skinned corpses in the Santo Spirito hospital, following Mario Asprucci’s perspective studies and the historical and classical authors with Ennio Quirino Visconti. All these aspects contribute in clearly tracing the training phases of an absolute protagonist of the neoclassical era.

Vincenzo’s artistic development owes more to his brother’s actions, whose importance emerges in the light of Domencio Corvi’s role-scaling regarding Camuccini’s apprenticeship; an apprenticeship which cannot only be traced back to a traditional workshop training, but must be considered in the light of multiple experiences, strictly connected to the possibilities offered by Rome as the capital of the arts. We therefore propose a revision of Camuccini’s apprenticeship, with Domenico Corvi’s less incisive role on the young painter in comparison to before.

On the other hand, it has clearly come to light Vincenzo’s autonomous training choices, his constant practice on masterpieces, the free approach to different masters and his presence in private academies like Felice Giani’s one, distinguishing itself with some original characteristics.

Regarding this, more elements have emerged from the sources that mention, often sporadically, of a young Camuccini who followed nude lessons held in private artist studios, party to that unique experience was Felice Giani’s Accademia de’ Pensieri, who was also the promoter of similar initiatives in his private home in Rome. They also tell, together with the remaining documents and drawings, of an apprenticeship in continually copying masterpieces, either directly or through the prints; who during the winter months, between fifteen and seventeen years of age, went to the Santo Spirito hospital to study anatomy on corpses and went to Mario Asprucci’s lessons on architecture; asking advice from Ennio Quirino Visconti for the historical compositions, learning from classical authors and from history and ancient costume manuals. We therefore have a more complex scenario, beyond his apprenticeship with Domenico Corvi that was highlighted so far by the critics, but has now partially emerged by Stefano Grandesso and Federica Giacomini’s considerations.

 

 

Il Teatro Argentina e i disegni di Carlo Marchionni

 

Elisa Debenedetti

 

Obiettivo del saggio è tracciare la storia del Teatro Argentina, dal suo sorgere nel 1732 ai vari periodi di restauro, abbellimento, falliti tentativi di ricostruzione e fino a Ottocento inoltrato, soffermandosi soprattutto sulla metà del XVIII secolo, quando il suo splendore era all’apice. Si situano infatti in questo periodo le descrizioni degli stranieri soggiornanti a Roma e i molti disegni, fra cui emergono quelli di Carlo Marchionni: noti e citati, ma mai analizzati fino in fondo in quanto non eseguiti e rimasti sulla carta. Essi in un certo senso anticipano gli scritti sulla riforma del teatro di Francesco Milizia, rivelandosi un sussidio teorico estremamente valido per la conoscenza di questo genere di architettura nel XVIII secolo.

 

This paper traces the Argentina Theatre’s history from 1732, when construction started, to the various periods of refurbishment, décor, failed reconstruction attempts up until the late nineteenth century, focusing above all on the mid-eighteenth century, its peak splendour. During this period we have the foreign residents’ descriptions and the many drawings, Carlo Marchionni’s ones in particular: famous and cited but never completely analysed since they were never implemented but left only on paper. In a certain way they anticipate the writings on theatre reform by Francesco Milizia, proving to be an extremely valid theoretical subsidy for this kind of eighteenth-century architectural knowledge.

 

 

Attorno a Giovanni Battista Piranesi:
tra Vasi, candelabri, cippi e Diverse Maniere d’adornare i cammini

 

Federica Rossi

 

L’articolo verte su due raccolte di Giovanni Battista Piranesi, ossia Vasi, candelabri, cippi… e Diverse Maniere d’adornare i cammini…, e riflette sull’interazione tra la produzione piranesiana e la corte russa. Di Vasi, candelabri, cippi… vengono analizzate tavole con dedica a Ivan Šuvalov, alto dignitario russo, interessato alle Arti e attivo a Roma tra il 1765 e il 1774. Per le Diverse Maniere d’adornare i cammini… viene invece indagato l’impatto sulla realizzazione di alcuni interni del palazzo imperiale a Carskoe Selo, realizzati dall’architetto scozzese Charles Cameron su commissione di Caterina II.

In un contesto di mobilità di artisti e intellettuali e di circolazione di modelli, emerge una fitta trama di rimandi che suggeriscono un dialogo indiretto tra Piranesi e Caterina II.

 

The paper is about two of Giovanni Battista Piranesi’s collections namely Vases, chandeliers, chips… and Different Ways of adorning the paths…; and reflects on the interaction between the Piranesian production and the Russian court. Regarding the Vases, candleholders, chips… some panels with a dedication to Ivan Suvalov, who was a high Russian dignitary, have been analysed, he was interested in the Arts and active in Rome between 1765 and 1774. Whereas with, Different Ways of adorning the paths… the construction impact of some interiors of the imperial palace in Carskoe Selo is investigated here, carried out by the Scottish architect Charles Cameron and commissioned by Catherine II.

In a context of artist/intellectual mobility and model circulation, a dense plot of references emerges that suggests an indirect dialogue between Piranesi and Catherine II.

 

 

 

Nuovi approcci di ricerca sul mercato dell’arte internazionale di pieno Settecento
L’esempio del Conte di Caylus tra intermediari e fasi d’acquisto

 

Ginevra Odone

 

Il presente articolo vuole analizzare le figure e i processi di vendita che hanno interessato alla metà del Settecento gli acquisti sul mercato romano del Conte di Caylus. La redazione del suo celebre “Recueil d’antiquités” è stata infatti resa possibile grazie, in primis, a Paolo Maria Paciaudi, intermediario per il conte sul mercato antiquario romano. Era questo personaggio a fare da tramite tra lui e gli antiquari presenti a Roma, considerati disonesti e senza scrupoli. Grazie allo scambio epistolare avvenuto fra Caylus e Paciaudi tra il 1757 e il 1765 sappiamo che a completare le fasi di negoziazione intercorrevano anche altre due figure: l’intermediario finanziario e quello logistico. Alla ricostruzione di questa complessa ma precisa macchina organizzativa si affianca anche l’analisi del trasporto degli oggetti acquistati a Roma. Questi, che dovevano essere ben imballati in modo da arrivare integri a destinazione, superati i controlli alla dogana spesso tramite sotterfugi, prendevano la via terrestre o quella marittima prima di giungere in fine a Parigi.

 

This paper is going to analyse Count di Caylus’s sales figures and purchase procedures on the Roman market during the middle of the eighteenth century. The publishing of his famous “Recueil d’antiquités” was possible thanks to Paolo Maria Paciaudi, in primis, the Count’s intermediary on the Roman antique market where the antique dealers were considered to be dishonest and unscrupulous. Thanks to Caylus and Paciaudi’s letters exchanged between 1757 and 1765 we know that two other figures were involved in completing the negotiations: the financial and the logistic intermediaries. In the reconstruction of this complex but precisely organized machine are the transport details. Once through customs they travelled either on land or water before arriving in Paris.

 

 

Il Conte Antonio Giacinto Saverio Cabral (1798-1873)
incisore, collezionista e mercante portoghese in Roma

 

Patrizia Rosazza Ferraris

 

Tra gli anni Trenta e Quaranta del XIX° secolo godette a Roma di una certa fama la collezione di dipinti antichi del conte portoghese Antonio Giacinto Saverio Cabral (Lisbona 1798 - Roma 1873). Guide per i forestieri come quella del Brancadoro del 1834 o il Mercurio del 1843 segnalano la Galleria Cabral tra quelle imperdibili per i viaggiatori colti. Cabral non è solo collezionista, ma anche pittore e incisore, borsista del Re del Portogallo, Accademico di San Luca, della bolognese Accademia Clementina e della Imperial e Real Accademia di Belle Arti fiorentina. Ma è soprattutto un mercante. Con notevole spirito imprenditoriale, promuove le opere della sua collezione, facendole riprodurre con la nuova tecnica della litografia e mettendo in vendita Album periodici con quattro immagini scelte tra i suoi dipinti, affiancate da testi di uno studioso di vaglia quale Pietro Ercole Visconti, nipote del celeberrimo Ennio Quirino. Tra i suoi clienti anche il principe Torlonia, con il quale lo troviamo addirittura in società per alcuni anni. Passano dalle sue mani opere dichiarate di Raffaello e di Poussin, dell’Albani, del Guercino, di Sassoferrato e dei Carracci. Ma già alla metà del secolo la sua immagine si appanna, e viene considerato inaffidabile nell’ambiente internazionale dei collezionisti che gravitavano su Roma. Progressivamente della sua collezione si perde fin la memoria. Restano alcuni dei suoi Album ed un certo numero delle singole immagini da lui prodotte. Sulla base di quanto delle sue litografie si è potuto rintracciare, si tenta qui una ricostruzione – ovviamente parziale – della sua collezione e soprattutto della sua prassi attributiva e mercantile.

 

During the 1930’s and 1940’s a collection of antique paintings belonging to the Portuguese Count Antonio Giacinto Saverio Cabral (Lisbon 1798-Rome 1873) were quite popular. Tourist guides like the Brancadoro 1834 or the Mercurio 1843 indicate the Cabral portrait gallery as a must for the educated travellers. Cabral was not only a collector, painter and engraver but also the King of Portugal’s Scholar. He was an Academic of San Luca, of the Clementine Academy of Bologna and of the Imperial and Real Florentine Academy of Fine Arts. He was, above all, a merchant. Being a remarkable entrepreneur, he promoted the works in his collection by reproducing them with the new lithograph technique. He sold periodic Album with four images chosen from amongst his paintings, flanked by Pietro Ercole Visconti’s texts, the valued scholar and nephew of the famous Ennio Quirino. Prince Torlonia was among his clients with whom there was also a business venture for a few years. Declared works of art by Raffaello, Poussin, Albani, Guercino Sassoferrato and the Carracci pass through his hands. However by the middle of the century his reputation tarnishes, he is now considered unreliable in the international circle of collectors who gravitate to Rome. His collection gradually fades away. Some of his Album remain and a certain number of single images he’d had produced. On the basis of some of his retraced lithographs, a partial reconstruction of his collection has been attempted here, above all his attribution and mercantile procedures.

 

 

Giuseppe Valadier e Pietro Camuccini in San Pietro dedicato a Irving Lavin

 

Elisa Debenedetti

 

Nel manoscritto 132 del fondo Lanciani alcuni fogli di Giuseppe Valadier e Pietro Camuccini testimoniano la loro importante presenza o frequentazione della Basilica Vaticana. Giuseppe Valadier realizza i due orologi, italiano e oltramontano, sistemandoli nella parte superiore della costruzione maderniana e collocando il campanone sul fastigio verso il braccio di Carlo Magno, al di sotto di uno di essi: il tutto su probabile progetto del padre Luigi, contribuendo così a perfezionare, da un punto di vista architettonico, la facciata iniziata più di duecento anni prima. Pietro Camuccini, fratello di Vincenzo, copia le tre statue della Loggia delle Reliquie, escluso il berniniano San Longino, per una rara pubblicazione di Pietro Leone Bombelli, interessato probabilmente soprattutto al loro riferimento all’Antico: si tratta forse dell’opera più intrigante  di questo disegnatore neoclassico, dedito soprattutto al restauro e al collezionismo.

 

In the manuscript 132 of the Lanciani fund some sheets by Giuseppe Valadier and Pietro Camuccini testify their important presence or regular visits to the Vatican Basilica. Giuseppe Valadier had the two clocks made, one was Italian the other foreign, fixing them to the top part of the Maderno construction and placing the big bell on the pediment towards the Charlemagne transept, underneath one of them: probably on his father Luigi’s draft, thus contributing in upgrading, in an architectural point of view, the façade initiated more than two hundred years before. Pietro Camuccini, Vincenzo’s brother, copied the three statues in the Loggia of Relics, except for the San Longino by Bernini, for a rare publication by Pietro Leone Bombelli, probably finding them very interesting in their reference to the Antique: it is perhaps the most interesting work by this neoclassic designer, dedicated above all to restoration and collecting.

 

 

Studiare l’antico tra Sette e Ottocento. Luigi Canina e Villa Adriana
attraverso i disegni della raccolta Lanciani

 

Maria Celeste Cola

 

Il cospicuo numero di disegni di Luigi Canina (1795-1856) conservato nel Fondo Lanciani della Biblioteca di Archeologia e Storia dell’arte ha consentito di far luce sul metodo di studio del celebre architetto piemontese che a lungo dedicò la sua attenzione alla villa tiburtina di Adriano. Gli studi, iniziati poco dopo il suo arrivo a Roma nel 1818, e ripresi con più ritmo nel 1843 in vista della preparazione de L’architettura antica, descritta e dimostrata coi monumenti (1856), impegnarono totalmente Canina in un vasto lavoro di raccolta delle fonti antiche, dalle indicazioni dei manoscritti ligoriani fornitegli dall’architetto e archeologo torinese Carlo Promis alla consultazione dei testi e delle raccolte di grafica conservate nelle biblioteche romane, da Bellori a Bartoli sino a Piranesi, quest’ultimo fondamentale per la conoscenza di urne, vasi e candelabri già partiti alla volta del Regno Unito. Nonostante le critiche sulla pianta della Villa cui Canina andò incontro agli inizi del nuovo secolo e l’errata identificazione degli ingressi alla Villa, il suo lavoro di architetto, antichista e filologo fu straordinario. Con l’idea di ricostruire in ogni suo aspetto la residenza dell’imperatore egli ne recuperò non solo gli alzati e le strutture architettoniche, ma anche gli elementi decorativi. Come mostrano i disegni Lanciani Canina univa in una grande tavola diversi fogli sciolti che creavano una sorta di menabò pronto per la stampa. Questo accadeva sia nella preparazione di tavole dedicate a singoli complessi architettonici, come nel caso dello Stadio degli Atleti o del Teatro Marittimo, sia per quelle destinate all’illustrazione degli elementi decorativi rilevati dallo spoglio sistematico di tutte le fonti antiche come suggeriscono le tavole ricostruttive degli antichi ingressi alla Villa.

 

The remarkable amount of drawings by Luigi Canina (1795-1856), the famous Piedmontese architect, have thrown light on his method of study. They are kept in the Lanciani Fund in the Library of Archaeology and History of Art. For a long time he devoted his attention to Adriano’s Villa Tiburtina beginning his studies soon after his arrival in Rome in 1818, resuming them in 1843 while preparing L’architettura antica, descritta e dimostrata coi monumenti (1856), then totally committing Canina to the extensive work of collecting antique sources. The Turin architect and archaeologist Carlo Promis indicated the Ligorian manuscripts, he then consulted texts and graphic collections kept in the Roman libraries, from Bellori to Bartoli to Piranesi, the latter was fundamental in learning about urns, vases and candleholders that had already left for the United Kingdom. Notwithstanding the criticisms regarding the plan of the Villa at the beginning of the new century and the mistaken identification of the Villa’s entrance, Canina’s work as an architect, antiquarian and philologist was extraordinary. With the idea of reconstructing, in every aspect, the Emperor’s residence, he not only recovered the risers (elevations) and the architectural structures but also the decorative elements. The Lanciani drawings show that Canina joined several loose sheets onto a large table that created a kind of model ready to be published. This happened both while preparing the tables for individual architectural complexes, like the Athletes Stadium or the Teatro Marittimo, and for those illustrating the decorative elements. These were detected by systematically examining all the ancient sources, as suggested by the reconstructive tables of the ancient entrances to the Villa.

 

 

Giuseppe Simelli architetto e ingegnere civile

 

Simonetta Ciranna

 

Attraverso la ricostruzione del percorso formativo e dell’attività professionale di Giuseppe Simelli (1777-1842) il contributo restituisce la figura di un moderno tecnico integrale: un architetto-agronomo-geometra-ingegnere cresciuto nello Stato Pontificio nei travagliati e fecondi anni delle rivoluzioni e poi dell’occupazione napoleonica, che vive in prima persona il contrasto tra un mondo in veloce cambiamento e un contesto conservatore. Una figura poliedrica, attenta alle trasformazioni tecniche, culturali e sociali, che studia con Baldassarre Orsini e con Carlo Labruzzi, scrive di Prospettiva pratica e la insegna prima alla principessa e sua protettrice Alexandra Dietrichstein e poi al giovane Luigi Maria Valadier, lavora e viaggia per committenti internazionali, artisti e aristocratici, enti religiosi e amministrazioni ecclesiastiche. Il disegno e, in particolare, la sua applicazione alla conoscenza, rappresentazione e divulgazione, dalla scala territoriale a quella dell’edificio fino al dettaglio naturalistico, trovano specifiche finalità nei suoi diversi incarichi e rapporti con committenti spesso di prestigio: dalla riproduzione dei monumenti ciclopei per l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres di Parigi, alla restituzione di rocce e minerali per illustri viaggiatori e studiosi di geologia, ai progetti per la macchina di Santa Rosa a Viterbo e del palazzo del conte Quaglia di Tarquinia, alla mappatura di interi territori come perito agrimensore, a quella di edifici o parti di essi danneggiati e oggetto di liti e perizie redatti con acribia nella veste di ingegnere pontificio e perito del tribunale.

 

This essay intends to return the figure of a modern integral technician Giuseppe Simelli (1777-1842), an architect-agronomist-surveyor-engineer grown up in the Papal State during the troubled and fruitful years of revolutions and, then, of the Napoleonic occupation. A polyhedral figure, attentive to the technical, cultural and social transformations, living through the contrast between a world rapidly changing and a conservative context. Simelli studies with Baldassarre Orsini and Carlo Labruzzi, writes about Practical Perspective and teaches this discipline firstly to Princess Alexandra Dietrichstein and then to the young Luigi Maria Valadier, works and travels for international clients, artists and noblemen, religious institutions and ecclesiastical administrations.

The drawing finds wide application in its diversified assignments and relations with patrons, often of prestige; particularly, in application to knowledge, representation and dissemination, from the territorial, urban and building scale to the naturalistic detail. Examples are: the architectural surveys of Cyclops monuments for the Académie des Inscriptions et Belles Lettres of Paris; the graphic restitution of rocks and minerals for illustrious travellers and scholars of Geology; the projects for the Machine of Santa Rosa at Viterbo and Earl Quaglia Palace at Tarquinia; the mapping of large territories as expert land surveyor; the architectural surveys and reports of damaged buildings or parts of them in the role of pontifical engineer and expert of the Court in occasion of disputes and litigation.

 

 

I conventi dei Ss. Cosma e Damiano al Foro Romano e dei Santi Margherita ed Ermidio
a Trastevere nei disegni della collezione Lanciani della BiASA

 

Marisa Tabarrini

 

La vasta e ricchissima documentazione grafica confluita nella raccolta Lanciani della BiASA può essere intesa come il risultato di una ammirevole acribia filologica e documentaria che il suo fondatore, il grande studioso di topografia romana Rodolfo Amedeo Lanciani (1849-1929), perseguì durante la sua lunga attività di ingegnere civile, e di archeologo funzionario a vita presso la Commissione Archeologica Comunale fin dagli inizi della sua istituzione nel 1872. Nonostante la eterogeneità del materiale riguardante Roma, è possibile ricostruire un filo rosso dipanato dallo stesso Lanciani nello svolgimento delle sue funzioni governative e nella sua attività di studioso, dalla Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità alla compilazione della Forma Urbis. È questo il caso del gruppo di fogli sparsi collegati ai tumultuosi eventi che precedettero e seguirono l’annessione di Roma al Regno d’Italia e che documentano in pianta o in prospetto alcuni monasteri cittadini soppressi destinati ad altro uso. Tra questi abbiamo voluto isolare alcuni disegni inediti databili al XIX secolo, che, con nuovi importanti spunti completano il quadro di riferimenti noti sui monasteri francescani dei Santi Cosma e Damiano al Foro Romano e di Santa Margherita a Trastevere.

La scelta si è basata per il primo caso sulla qualità del coinvolgimento di Lanciani e per il secondo sul ritrovamento di nuovi dati per la ricostruzione della storia di un complesso conventuale scarsamente documentato.

 

The vast and very rich graphic documentation that flowed into the Lanciani collection at the BiASA can be considered the result of an admirable philological and documentary acribia that its founder, the great Roman topography scholar Rodolfo Amedeo Lanciani (1849-1929), pursued during his long activity as a civil engineer and archaeologist officer at the Municipal Archaeological Commission of Rome since the beginning of its foundation in 1872. Despite the heterogeneity of the material concerning Rome, it is possible to reconstruct a red thread unraveled by Lanciani himself by his activity as governmental officer and as scholar, from his Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità to the compilation of the Forma Urbis. It is the case of a group of sheets, linked to the tumultuous events that preceded and followed the annexation of Rome by the Kingdom of Italy, which document in plan or in prospect some suppressed Roman convents destined for other functions. Among these, we have selected some unpublished drawings, dating back to the 19th century, which add new important information to the known reference framework on the Franciscan convents of SS. Cosma e Damiano at the Roman Forum and S. Margherita in Trastevere.

The choice is based for the first case on the quality of Lanciani’s involvement and for the second on the finding of new informations for the reconstruction of the history of a poorly documented convent complex.

 

 

Due libri recenti sui Ruspoli e sugli Albani

 

Elisa Debenedetti

 

Traendo spunto dai due libri di Maria Celeste Cola e Matteo Borchia, editi rispettivamente nel 2018 e nel 2019, si è costruito un ragionamento critico lungo un unico filo conduttore. In particolare, a partire dal primo volume si sono prese le mosse dall’operato di Carlo Marchionni in Palazzo Ruspoli al Corso, pubblicandone per la prima volta i disegni per la fontana al termine di un bersò nel giardino allora esistente, rimasti sulla carta (un’altra fontana venne realizzata da Tommaso Righi nel 1751); e si è dimostrato come il lavoro per l’insigne famiglia toscana, romanizzatasi dal 1527, nel nuovo appartamento nell’ala interna del Palazzo stesso sia già improntato a un diverso stile decorativo, rappresentato in maniera esemplare dall’Architetto nella Villa sulla Salaria. A partire dal secondo volume, invece, si sono estrapolate dalla fitta corrispondenza di Alessandro Albani, coinvolgente uomini politici, letterati, ecclesiastici e nobili d’ogni ordine e grado, estesa a tutta l’Europa, le notizie inedite relative alla stessa Villa Albani e al suo giardino; così come quelle riguardanti i più insigni rappresentanti della cultura del tempo coinvolti nella corte albaniana, e quelle relative agli architetti e artisti che presero parte ai lavori. Si sono inoltre messi in luce, ove menzionati, gli importanti reperti archeologici acquisiti dal Cardinale, che testimoniano il suo precoce interesse antiquario nei confronti di alcuni manufatti.

 

Drawing inspiration from the two books written by Maria Celeste Cola and Matteo Borchia published respectively in 2018 and 2019, a critical reasoning was constructed along a main theme. In particular, starting from the first volume, we took our cue from Carlo Marchionni’s work in Palazzo Ruspoli in via del Corso, publishing for the first time the drawings for the fountain at the end of the bersò in the then existing garden, which was never accomplished (another fountain was made by Tommaso Righi in 1751); and it’s proven how the work, for the noble Tuscan family Romanized in 1527, in the new apartment of the internal wing of the same Palace has a different decorative style, achieved beautifully by the Architect in the Villa on via Salaria. Whereas from the second volume, we extracted Alessandro Albani’s intense correspondence with the politicians, authors, clergymen and nobles of every order and grade, comprehending the whole of Europe, the unpublished information regarding precisely Villa Albani and its garden; plus those regarding the distinguished representatives of the time involved with the Albani family’s court, and those concerning the architects and artists involved with its construction. We then highlighted, wherever mentioned, the important archaeological findings bought by the Cardinal, bearing witness to his precocious antiquarian interests.