Studi sul Settecento Romano

 

Rivista annuale, ANVUR classe A

 

Studi sul Settecento Romano 35

Temi e ricerche sulla cultura artistica, II

Antico, Città, Architettura, IV

 

a cura di Elisa Debenedetti

 

 

Il progetto di Richard Topham per Eton College, serial/portable classic
nell’Inghilterra di primo Settecento

 

Paolo Coen

 

La raccolta dell’uomo politico e proprietario fondiario Richard Topham costituisce un caso particolare e di rimarchevole importanza nella storia del collezionismo britannico di primo Settecento. Nel corso della sua vita, Topham mise insieme una raccolta di circa 1300 libri, 703 incisioni e 2236 disegni, che avevano a che fare pressoché interamente con l’Italia e ancor più con Roma. Alla sua morte, nel 1730, questo materiale sarebbe passato per legato testamentario alla nuova biblioteca di Eton College, sempre a Windsor, dove si trova ancor oggi.

Il saggio, frutto di un lungo lavoro di ricerca nella stessa biblioteca di Eton College, ricostruisce le dinamiche di formazione del corpus grafico e bibliografico di Topham – mettendo in evidenza fra l’altro il ruolo di Francesco Fernandi, detto l’Imperiali; nella seconda parte esso stabilisce un rapporto preciso tra la raccolta, la formazione del collezionista e, a più ampio raggio, con la crescita dell’anticomania nella Britannia coeva, anche in funzione politica.

 

The collection of politician, owner and founder Richard Topham constitutes a particular case and is of remarkable importance in the history of British collectivism during the first half of the seventeenth century. During his life, Topham put together a collection of about 1300 books, 703 engravings and 2236 drawings all to do, more or less, with Italy and even more so with Rome. After his death in 1730, this material was bequeathed to the new Eton College’s library, always in Windsor, where they are to be found to this today.

This paper, the result of lengthy research in the same Eton College’s library, reconstructs the formation dynamics of Topham’s graphic and bibliographic corpus – emphasising, among other things, Francesco Fernandi’s, said imperial, role; in the second part it establishes a precise connection between the collection, the collector’s formation and, on a wider scale, with the growing of antique-mania in contemporary Britannia, also on a political scale.

 

 

De España a Roma:
La obra de palacio real en los orígenes de una cultura arquitectónica compartida

 

Adrián Almoguera

 

La distruzione dell’Alcazar Reale di Madrid nel 1734 costutisce il più grande dibattito architettonico della Spagna del primo Settecento. La mancanza di architetti nazionali in grado di dirigere il cantiere di ricostruzione, costringe il Re a cercare tra i grandi maestri italiani. Dopo la morte di Juvarra, che fece il primo progetto, il suo allievo Giovanni Battista Sacchetti dirige durante tre decenni la costruzione di un palazzo criticato in Spagna come all’ estero. Queste critiche provocano diverse volte la ricerca di pareri da parte di una commissione di architetti dell’Accademia di San Luca, pareri che aprono il dibattito spagnolo al contesto internazionale e segnano l’inizio di una cultura architettonica condivisa fra la Spagna e l’Italia di quest’epoca. Quest’articolo si propone di studiare nuovi documenti e disegni su questi scambi ispano-italiani, con l’intenzione di riflettere sul fenomeno di circolazione di progetti e teorie nell’Europa architettonica internazionale del Settecento.

 

The destruction of the Royal Alcazar in 1734 in Madrid is Spain’s major architectural debate of the early eighteenth century. The lack of national architects capable of supervising the construction site obliges the King to look for Italian great masters. After Juvarra’s death, who did the first project, his apprentice Giovanni Battista Sacchetti heads the construction, over a thirty-year period, of a palace which was criticized both in Spain and abroad. On various occasions these criticisms induced an inquiry by the St. Luke’s Academy commission of architects, inquiries which started a Spanish debate on an international scale and mark the beginning of an architectural culture shared between Spain and Italy during this period. This paper’s intention is to study new documents and drawings regarding these exchanges between Spain and Italy, therefore reflecting upon the phenomenon of project and theory circulation in international architectural Europe during the eighteenth century.

 

 

Due taccuini di Francesco Galli Bibiena nella Biblioteca Nacional de Portugal

 

Francesco Ceccarelli

 

Nell’articolo si presenta lo studio su due taccuini manoscritti conservati presso la Biblioteca Nazionale di Lisbona, il cod. nr. 10761 e il cod. nr. 12956, ritenuto cinquecentesco e tradizionalmente attribuito a Filippo Terzi (1520-1597).

L’analisi comparativa approfondita dei due codici ha consentito di dimostrare che originariamente essi erano legati assieme in un unico manoscritto, una sorta di vademecum polivalente ad uso di architetti scenografi, poi smembrato per cercare di valorizzarne in autonomia la sola componente grafica, tentando di fabbricare un minuscolo trattato di architettura civile. Altri indizi hanno poi permesso di rivedere completamente la cronologia dell’opera, databile alla prima metà del XVIII secolo e di rimodularne l’attribuzione, assegnandone la paternità all’architetto e scenografo bolognese Francesco Galli Bibiena (1659-1739), il quale intese comporre un originale prontuario ad uso di pittori, disegnatori e uomini di teatro, corredato da una versione sintetica della Regola di Vignola e da particolari di ordini architettonici che rinviano al celebre trattato del fratello Ferdinando Bibiena, L’Architettura civile, del 1711,

This paper introduces the study of two note-books kept in Lisbon’s National Library, the cod. nr. 10761 and the cod. nr. 12956, believed to be sixteenth century and traditionally attributed to Filippo Terzi (1520-1597).

 

The in-depth comparative analysis of the two codes has allowed us to demonstrate that originally they were tied together in a single manuscript, a kind of multi-purpose handbook for architects and set designers use, then dismembered to try and increase the autonomous value of the graphic component, trying to fabricate a tiny summary on civil architecture. Other clues have then permitted us to completely review the notebooks’ chronology, datable around the first half of the eighteenth century and also reformulate the attribution, assigning the paternity to the architect and set-designer Francesco Galli Bibiena (1659-1739), who had the intention of composing an original handbook for painters, set designers and theatre men, accompanied by a synthetic version of Vignola’s Regola plus details of architectural orders that refer to his brother’s famous treaty, Ferdinando Bibiena, L’Architettura civile, 1711.

 

 

Ferdinando Fuga per Benedetto XIV. Alcuni nuovi disegni dalla collezione Piancastelli:
S. Maria dell’Orazione e Morte, S. Apollinare e S. Pietro a Bologna

 

Alessandro Spila

 

L’importanza della collezione che fu di Giovanni Piancastelli, oggi presso il Cooper Hewitt Museum di New York , per l’architettura del Settecento romano è stata più volte sottolineata. La recente individuazione presso questo fondo di una piccola serie di disegni riconducibile all’attività di Fuga per i rifacimenti interni della Basilica di S. Maria Maggiore non ha potuto che incoraggiare il procedere degli studi verso possibili nuovi riconoscimenti nell’ambito dei progetti dell’architetto fiorentino. Si presentano in questa sede, fra una nutrita serie di probabili soggetti fughiani ancora in corso di individuazione, alcuni disegni parzialmente accomunabili in quanto testimoniano due imprese assai rilevanti per la carriera del maestro fiorentino, in una fase assai delicata come l’avvento di Benedetto XIV. In particolare la Basilica di S. Apollinare e i progetti mai eseguiti per la facciata di S. Pietro a Bologna rappresentano due momenti decisivi, in cui l’architetto appare svincolarsi dalle soluzioni più razionali solitamente messe in opera durante il regno Corsini, e riavvicinarsi a temi più marcatamente barocchi in parte già affrontati in gioventù, con uno sguardo particolare ai capolavori di Pietro da Cortona.

 

The importance of that which was Giovanni Piancastelli’s collection, now in the Cooper Hewitt Museum of New York, for eighteenth-century Roman architecture has been more than once underlined. In this fund a small series of drawings were recently found that trace back to Fuga’s activity during the internal renovations of Santa Maria Maggiore’s Basilica which only encouraged us to proceed in our studies to find possible new recognitions in the Florentine architect’s range of projects. They are introduced here, amongst an abundant series of possible Fuga subjects, still to be identified. Some drawings are partially similar in that they testify two very important enterprises in the Florentine maestro’s career, during a very delicate period due to the arrival of Benedict XVI. In particular, the St. Apollinare Basilica and the never executed St. Peter’s façade in Bologna, represent two decisive moments whereby the architect seams to wriggle out of the more rational solutions normally used during the Corsini reign, and draws closer to the more baroque themes partially used when younger, with a particular interest in Pietro da Cortona’s masterpieces.

 

 

Un committenza chigiana tra Roma e Siena:
progetti per la chiesa di San Girolamo in Campansi

 

Bruno Mussari

 

La storia della Chiesa del Monastero francescano di Campansi a Siena, dove trascorsero la loro vita monacale molte esponenti della famiglia Chigi, è strettamente legata alla casata senese, che attraverso i suoi più eminenti esponenti e i loro architetti, promosse i principali interventi dei quali il complesso fu oggetto nella seconda metà del XVII secolo. Dopo la fondazione e costruzione della chiesa originaria, nella seconda metà del XV secolo, un’importante fase di rinnovamento fu promossa con il pontificato di Alessandro VII (1655-1667), nell’ambito di una serie di interventi di cui la committenza papale si fece promotrice a Siena, come la realizzazione della Cappella del Voto, la nuova configurazione architettonica e urbana della Chiesa di San Raimondo al Refugio, la nuova sistemazione in chiave barocca della piazza del Duomo. In questo contesto in cui si consolidano le relazioni tra Roma e Siena, si inserisce il progetto per la Chiesa delle Monache di Campansi, dell’architetto senese Benedetto Giovannelli Orlandi, databile agli anni ‘60 del XVII secolo. Il progetto, che l’affermato architetto propose nei disegni inediti conservati nell’archivio Chigi della Biblioteca Vaticana, non rinunciava a una evidente sensibilità barocca, sia nella dimensione architettonica che nella configurazione urbana; evidente eco di una non secondaria influenza romana. Il progetto, rimasto sulla carta, se realizzato, avrebbe mutato sensibilmente il carattere del settore cittadino in cui il l’originario complesso francescano ricade, offrendo a Siena uno spazio rinnovato, nel quale l’esperienza maturata nel barocco romano, sarebbe stata declinata secondo i canoni moderati di una controllata tradizione toscana.

 

The history of the Franciscan Monastery church in Campansi, Siena where many members of the Chigi family spent their monastic lives, is closely linked to the Siena family, who through their most eminent members and architects, promoted the main interventions regarding the complex during the second half of the seventeenth century. After the foundation and construction of the original church, during the second half of the fifteenth century, an important renewal phase was promoted during Alexander VII’s pontificate (1655-1667), by the pope’s commission in Siena, like the accomplishment of the Vote Chapel, the new architectural and urban lay out of the St. Raymond to the Refuge church and the new baroque set-up in the Cathedral square. In this context where relationships between Rome and Siena are consolidated, the project for the Nuns’ Church in Campansi is inserted by the Siena architect, Benedetto Giovannelli Orlandi, datable around the sixties of the seventeenth century. The project, that the affirmed architect proposed in the unpublished drawings kept in the Chigi archive of the Vatican Library, had an evident baroque sensibility, not only in its architectural dimension but also in the urban lay-out; evident echo of Roman influence. The project, which remained only on paper, had it been implemented, would have sensibly changed the character of the city area in which the original Franciscan complex falls, offering Siena a renovated space, where the experience matured in Roman baroque, would have been declined according to the moderate rules of a controlled Tuscan tradition.

 

 

‘Naturalezza’ della ritrattistica romana della prima metà del Settecento:
Francesco Trevisani, Marco Benefial, Sebastiano Ceccarini

 

Alessandro Agresti

 

Si rendono noti cinque ritratti inediti di particolare pregio: uno di Francesco Trevisani (Ritratto del cardinale Pietro Ottoboni), uno di Marco Benefial (Autoritratto), tre di Sebastiano Ceccarini (Ritratto del cardinale Giovanni Francesco Stoppani; Ritratto del cardinale Antonio Eugenio Annibale Visconti; Ritratto di gentiluomo). Sono esemplificativi del nuovo corso della ritrattistica a Roma nella prima alla metà del Settecento. Francesco Trevisani, con l’effige del suo mecenate – è oramai noto che fu uno dei più importanti collezionisti del tempo – partendo dalla poetica di Carlo Maratti sortisce un risultato improntato a una maggiore spontaneità e naturalezza: da qui prenderà le mosse Marco Benefial. Particolarmente interessante il suo autoritratto, l’unico noto non ufficiale – l’artista infatti si presenta in veste da camera – che raggiunge esiti di acuto realismo davvero inusuali nel contesto romano (e non solo). Con Sebastiano Ceccarini, pittore le cui qualità sono ancora, in parte, trascurate, si chiude una stagione della pittura capitolina: infatti il successo incontrato da artisti come Pompeo Batoni e Anton Von Maron – dovuto anche a ben precise richieste della committenza – sarà legato a effigi più ‘ideali’, eleganti, studiate, dove non troverà quasi più posto la toccante umanità che invece ravvisiamo nei ritratti analizzati nel saggio.

 

Five unpublished portraits of particular merit are disclosed here: one by Francesco Trevisani (Portrait of Cardinal Pietro Ottoboni), one by Marco Benefial (Self-portrait), three by Sebastiano Ceccarini (Portrait of Cardinal Giovanni Francesco Stoppani; Portrait of Cardinal Antonio Eugenio Annibale Visconti; Portrait of a gentleman). They are examples of the new method in portraiture in Rome during the first half of the eighteenth century. Francesco Trevisani, with the effigy of his patron – now known as one of the most important collectors of his time – starts with Carlo Maratti’s poetics emerging with a more spontaneous and natural result: Marco Benefial then proceeds from here. His self-portrait is particularly interesting, the only unofficial detail – the artist is in his dressing gown – reaching acute realism, really unusual in the Roman context (and not only). With Sebastiano Ceccarini, a painter whose qualities are still partially in the shade, a season of Capitoline painting closes: in fact the success obtained by artists such as Pompeo Batoni and Anton Von Maron – due to precise requests from the commissioners – are linked to more ‘idealized’ effigies, elegant and studied, where there is practically no room for the touching humanity to be seen in the portraits analysed in the paper.

 

 

Indagini intorno la Morte di Camilla di Gaspare Landi: proposte iconologiche e formali

 

Alessio Cerchi

 

Il contributo intende indagare, attraverso un riesame della Morte di Camilla di Gaspare Landi, conservato presso Palazzo Taverna a Monte Giordano, le ragioni che hanno portato il Principe Pietro Gabrielli a commissionare al pittore un’opera dall’iconografia così singolare.

Prendendo le mosse dall’analisi della situazione romana durante l’occupazione napoleonica e dai particolari sentimenti nutriti dal Gabrielli verso l’invasore, nonché dal confronto con le altre tre opere eseguite su volontà del Principe, ho voluto sondare il significato iconologico del dipinto landiano proponendo uno stretto legame del ciclo decorativo con le vicende politiche contemporanee.

Inoltre, attraverso ricerche più approfondite, ho potuto dimostrare come i riferimenti formali adottati dal piacentino non siano da individuarsi unicamente in Canova, ma vadano rintracciati in un quadro conservato allora nell’Urbe presso le collezioni di Luciano Bonaparte.

 

The arcticle intends to investigate the painting Death of Camilla by Gaspare Landi (conserved in Taverna Palace, in Monte Giordano) through a complete re-examination to try to understand the reasons that led the Prince Pietro Gabrielli to commission to the painter a work with a so singular iconography.

Beginning from the analysis of the roman situation during the napoleonic occupation and Gabrielli’s particular sentiments towards the invader, as well as from the comparison with the three other works made for the will of the Prince, I wanted probe the iconologicol meaning of the painting proposing a tight link between the decorative cycle and the political contemporary events.

Moreover, thanks to deeper research, I could show that the stylish references of the painter are not only to Canova, but also to a painting conserved at the time in Luciano Bonaparte’s roman collection.

 

 

Nepoti – Mariani – Spinazzi
Succession in a eighteenth century silversmith’s workshop

 

Jennifer Montagu

 

When in 1756 Madalena Greci Mariani inherited the silver workshop on the death of her husband Domenico Mariani, she appointed his assistant Nicola Lorenzini to run it. This arrangement proved unsatisfactory: Lorenzini was dismissed, and Madalena then married Gregorio Spinazzi to her daughter Caterina, giving him a portion of the silver in the workshop as a dowry, and the running of the business. The documents detailing these transactions, although probably exceptional in the control that Madalena Greci exercised over the enterprise, indicate the duties required of the men who directed the silver workshops in relation to other widows who owned them in eighteenth century Rome.

 

Alla morte del marito Domenico Mariani nel 1756, Madalena Greci Mariani ereditò il laboratorio dell’argento incaricando l’assistente Nicola Lorenzini di assicurarne l’attività. Questa soluzione non si rivelò soddisfacente ed il Lorenzini fu quindi licenziato. Quando Madalena dette in sposa la figlia Caterina a Gregorio Spinazzi, conferì a questo la gestione ed una parte dell’argento esistente nel laboratorio come dote di nozze. I dettagli dei documenti riguardanti queste transazioni, per quanto probabilmente fuori del comune, per il controllo che Madalena Greci esercitava sull’impresa, specificano i doveri richiesti agli uomini che dirigevano i laboratori dell’argento, anche nei casi di altre vedove che li possedettero nella Roma del XVIII secolo.

 

 

Villa Lucidi del Collegio Clementino a Monte Porzio Catone nel XVIII secolo

 

Maria Barbara Guerrieri Borsoi

 

Il testo è il primo studio approfondito condotto su questa proprietà del territorio tuscolano, ubicata tra Frascati e Monteporzio Catone. Villa Lucidi illustra efficacemente una tipologia diffusa in quest’area, a metà strada tra il casino borghese e la villa nobiliare, residenza destinata a una comunità e al controllo del ‘fondo’ agricolo. Essa prese nome da una famiglia, le cui vicende sono state meglio definite, che nel XVII secolo ottenne in enfiteusi le terre dai Borghese. L’edificio primitivo, una semplice dimora rustica sorta su resti archeologici, fu nobilitato nel XVIII secolo, allorché appartenne al Collegio Clementino di Roma, che lo fece trasformare e ingrandire dall’architetto Giuseppe Scaturzi, come attestano documenti qui presentati per la prima volta.

 

This paper is the first in-depth study conducted on this property in the Tuscolano territory, located between Frascati and Monte Porzio Catone. Villa Lucidi effectively illustrates a widespread typology of this area, half way between a bourgeois casino and a noble villa, it was intended for a community but also to control the agricultural ‘fund’. It took the name from a family, who during the 17th century obtained the land in long-lease from the Borghese family. The primitive building, a simple rustic dwelling built on archaeological remains, was ennobled in the eighteenth century, since then belonging to the Clementino College in Rome, who had it transformed and enlarged by the architect Giuseppe Scaturzi, as the documents presented here for the first time attest.

 

 

18 maggio 1789: una via triumphalis per Pio VI.
Archi effimeri e permanenti tra Roma a Subiaco

 

Marco Pistolesi

 

Nel maggio 1789, nella duplice veste di pontefice e abate commendatario, Pio VI si recò a Subiaco per consacrare la nuova cattedrale di S. Andrea, da lui fatta ricostruire dalle fondamenta. Per l’occasione, le autorità municipali e i feudatari delle principali località situate lungo la direttrice Tiburtina-Valeria, profusero ingenti spese per preparargli una degna accoglienza, realizzando imponenti lavori stradali e allestendo apparati festivi. A Tivoli, Vicovaro e Arsoli furono eretti archi di trionfo effimeri e strutture recettive provvisorie, così come a Rocca S. Stefano, borgo di confine del territorio della commenda sublacense, mentre Subiaco, meta del percorso trionfale, esprimeva la sua riconoscenza nei confronti del munifico papa-commendatario erigendo un arco marmoreo all’ingresso della cittadina, su progetto di Giulio Camporese. L’evento, definito da Jeoffrey Collins come “apice della retorica” braschiana, amplificava su scala territoriale il percorso trionfale allestito a Roma in occasione del possesso, quando il neoeletto pontefice, vescovo della città eterna, s’insediava solennemente nella cattedrale di S. Giovanni in Laterano. Una corposa ricerca d’archivio ha permesso di verificare e arricchire le notizie riportate dalle principali cronache dell’epoca e dalle successive memorie ottocentesche, di apprendere molti dati sui caratteri architettonici e formali degli archi e di individuare gli architetti cui fu affidata l’ideazione degli apparati. Ai nomi di Giulio Camporese e Benedetto Piernicoli, già noti come progettisti degli archi di Subiaco e Arsoli, si aggiungono quelli di Giuseppe Scaturzi a Vicovaro, frate Filippo Tavella a Tivoli e Gaetano Calidi a Rocca S. Stefano, consentendo di approfondire la conoscenza di figure poco studiate, se non inedite. Il reperimento di descrizioni dettagliate e, in alcuni casi, di fonti grafiche, ha consentito di tracciare un profilo critico soprattutto per i due archi di Arsoli e di Subiaco – l’uno noto grazie a un’incisione, l’altro ancora in situ – e una valutazione dell’approccio dei rispettivi architetti al tema progettuale dell’arco onorario. Tale approfondimento critico non può prescindere da considerazioni sulle differenti personalità ed esperienze dei progettisti e sulle loro posizioni nel dibattito architettonico che raggiunge un picco di vivacità nei contraddittori decenni del pontificato Braschi. Una molteplicità di voci che si confrontano anche sul tema degli allestimenti festivi, in cui da un lato, permangono inevitabili rimandi ad una lunga stagione barocca che volge al tramonto, dall’altro lato, si affacciano idee nuove e moderne, che reinterpretano – o imitano consapevolmente – le suggestioni provenienti direttamente dall’Antico.

 

In May 1789, in the dual role of pontiff and commendatory abbot, Pius VI went to Subiaco to consecrate the new St. Andrew’s cathedral, which he had had restored from the foundations. For the occasion, the municipal authorities and the feudal lords of the main towns situated along the Tiburtina-Valeria route, went to great expense in order to prepare a worthy welcome for him, implementing important road works and setting up festive contrivances. In Tivoli, Vicovaro and Arsoli ephemeral triumphal arches were erected and temporary accommodation facilities provided, the same in St.Steven’s fortress, border village in the Subiaco Commandery territory, whilst Subiaco, being the destination of the triumphal path, expressed its gratitude towards the munificent Pope-Commendatory by erecting a marble arch, designed by Giulio Camporese, at the entrance of the town. The event, defined by Jeoffrey Collins as the “apex of Braschi rhetoric”, amplified on a territorial scale the triumphal path set in Rome on occasion of the possession, when the newly elected pope, bishop of the eternal city, solemnly took office in St. John’s Cathedral.

An in-depth archival research has allowed us to verify and enrich the reported news from the main chronicles of the time and from the later nineteenth-century memoirs, to learn a good amount of data regarding the architectural and formal characteristics of the arches and identify the architects who designed the contrivances. The names of Giulio Camporese and Benedetto Piernicoli, known as the designers of the Subiaco and Arsoli arches, must be added to those of Giuseppe Scaturzi in Vicovaro, friar Filippo Tavella in Tivoli and Gaetano Calidi in St.Stephen’s fortress, allowing us to elaborate on subjects scarcely studied, even unpublished. The finding of detailed descriptions and, in some cases, of graphic sources, has allowed us to trace a critical profile above all for the two Arsoli and Subiaco arches – one known thanks to an incision, the other still in situ – and an evaluation of the respective architects’ approach to the design theme of the honorary arch. Without ignoring the considerations about the different personalities and experiences of the designers and their positions in the architectural debate which reached its peak during the contradictory decades of the Braschi pontificate. A host of voices that confront each other plus those regarding the theme of festive arrangements, where on the one hand, there are still inevitable references to a long baroque season which winds to an end, and on the other, new modern ideas appear that reinterpret – or knowingly imitate – the suggestions that come directly from the antique

 

 

“Una sublime scuola d’arti”. Giuseppe Valadier e l’apparato funebre in onore di Antonio Canova nella basilica dei Santi Apostoli a Roma

 

Tommaso Manfredi

 

Questo contributo è dedicato all’apparato funebre in onore di Antonio Canova allestito da Giuseppe Valadier nella basilica romana dei Santi Apostoli su incarico dell’Accademia di San Luca ed esposto al pubblico il 31 gennaio 1823, tre mesi e mezzo dopo la morte del maestro a Venezia.

La radicale trasformazione dello spazio interno della basilica nella “sublime scuola d’arti” evocata da Melchiorre Missirini segretario dell’Accademia in memoria del defunto principe perpetuo, fu l’esito di un originale programma estetico basato sull’installazione dei modelli in gesso di tutte le sculture di genere sacro allora conservate nello studio di Canova.

Tale programma è qui analizzato per la prima volta nella sua accezione interdisciplinare con l’apporto di documenti e disegni inediti, utili a valutarne le peculiarità rispetto ai grandi allestimenti funebri della Roma cosmopolita dei primi decenni dell’Ottocento. Prima fra tutte la predominanza figurativa e simbolica conferita al modello della statua colossale della Religione che Canova aveva proposto senza successo di innalzare a sue spese nel transetto della basilica vaticana su progetto dello stesso Valadier.

 

This paper is dedicated to the funeral apparatus in honour of Antonio Canova, staged by Giuseppe Valadier in the Roman Basilica of the Holy Apostles, assigned by St. Luke’s Academy and presented to the public on January 31st, 1823, three and a half months after the maestro’s death in Venice.

The radical transformation of the basilica’s internal space into the “sublime art school” evoked by Melchiorre Missirini, the Academy’s secretary, in memory of the deceased perpetual prince, was the outcome of an original aesthetical programme based on the installation of plaster models of all the sculptures of the sacred kind stored in Canova’s studio.

This plan is analysed here for the first time in its interdisciplinary meaning with the contribution of inedited documents and drawings, useful in assessing the peculiarities in comparison to the grand funeral productions of cosmopolitan Rome during the early decades of the nineteenth century. Above all the figurative and symbolic predominance conferred to the model of the colossal statue of Religion that Canova had proposed, without success, to be erected at his expense, in the transept of the Vatican Basilica, based on a design by Valadier.

 

 

Carlo Fontana e la “miscellanea di varia architettura” della Collezione Lanciani di Roma

 

Iacopo Benincampi

 

Eterogeneo nella sua strutturazione e verosimilmente composto successivamente alla scomparsa di Carlo Fontana (1638-1714), cui è sicuramente riconducibile nella maggioranza dei grafici contenuti al suo interno, il manoscritto 101 della Collezione Lanciani si presenta come una testimonianza di indiscutibile interesse, tanto per il numero dei soggetti raffigurati quanto per la varietà degli stessi e le consistenti indicazioni tecniche spesso riportate a margine degli elaborati. Infatti si tratta di un insieme di disegni abbinati in taluni casi a commenti in grado di restituire un’idea precisa della professione dell’architetto attorno alla fine del XVII secolo e di fornire inoltre nuova luce sull’attività di uno dei principali protagonisti della seconda stagione del Barocco.

 

Heterogeneous in its structure and composed most likely after Carlo Fontana’s decease (1638-1714), to whom it is certainly linked with regard to the majority of graphics contained within manuscript 101 of the Lanciani Collection, presenting itself as a testimony of unquestionable interest, both for the depicted subjects and their variety plus the consistent technical indications frequently indicated in the papers’ margin.

In fact it deals with a set of drawings combined, in some cases, with comments allowing us to refresh a precise idea of the architect’s profession around the end of the seventeenth century, it also provides new light regarding the activity of one of the principal protagonists of the second Baroque season.

 

 

Ludovico Caracciolo, “distinto Pittor Paesista”: i disegni nei Manoscritti Lanciani 6, 25 e 26 nella Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma

 

Alessandro Cremona

 

La figura del pittore e incisore Ludovico Caracciolo (Roma 1761-1842) è stata finora oggetto di diversi sguardi storico-critici che ne hanno, però, definito solo alcuni aspetti, mettendo per lo più in risalto le sue doti di “panoramista” e di divulgatore a stampa del Liber Veritatis di Claude Lorrain. Con questo saggio si vogliono fornire nuovi elementi di conoscenza su Ludovico e rendere noto l’importante lavoro grafico raccolto in tre album del Fondo Lanciani, miscellanee della sua cinquantennale carriera di disegnatore attestata a partire dal 1790 e durata almeno fino al 1839, alla veneranda età di settantotto anni. Verranno quindi esaminate vicende e cronologie che possono offrire ulteriori informazioni sul vasto impegno grafico dell’artista, con particolare riguardo ai contatti e alle relazioni con l’ambiente artistico e intellettuale di quell’epoca – particolarmente quello anglosassone gravitante a Roma in quegli anni –, e aprire la strada a nuove ricerche sull’ancora sostanzialmente ignota attività pittorica dell’artista.

 

The painter/engraver Ludovico Caracciolo (Rome 1761-1842) has been the subject of several historical/critical views that have defined only some aspects, highlighting his gifts mostly as a “panorama artist” and press divulger of Claude Lorrain’s Liber Veritatis. This paper would like to introduce new elements regarding Ludovico, divulging the important graphic work collected in the three albums of the Lanciani Fund, a miscellaneous of his fifty-year career as a certified designer from 1790 up until at least 1839, reaching the venerable age of seventy eight. Situations and chronologies will then be examined which can offer further information regarding the artist’s graphical commitment, particular attention given to the contacts and relations with the artistic and intellectual environment of the time – especially the Anglo-Saxon which was gravitating in Rome during those years –, and opening up new research on the artist’s painting activity, still practically unknown.

 

 

Luigi Canina nel Fondo Lanciani

 

Elisa Debenedetti

 

Nello sterminato materiale presente nel Fondo Lanciani (quasi la metà è composta di opere del Canina) si sono isolati tre nuclei che rispondono agli interessi precipui dell’archeologo romano: il Foro, le acque e la via Appia, inserendo anche il Tuscolo e alcuni fogli di allievi, soprattutto Eugenio Landesio. Tutto ciò in vista di un lavoro più vasto e completo che esaurisca lo studio sul Casalese, già intrapreso a Torino e a Casalmonferrato da Laura Guardamagna e Augusto Sistri.

 

In the infinite amount of material to be found in the Lanciani Fund (almost half of which composed by Canina’s works) three nuclei have been isolated which respond to the Roman archaeologist’s primary interests: the Foroum, the waters and the Appian Way, inserting the Tuscolo and some students’ papers as well, above all Eugenio Landesio’s. All of which in view of a more vast and complete work that concludes the study on Casalese, already undertaken by the scholars Laura Guardamagna and Augusto Sistri in Turin and Casalmonferrato.