Studi sul Settecento Romano
Rivista annuale, ANVUR classe A
Studi sul Settecento Romano 34
Johann Joachim Winckelmann (1717-1768)
nel duplice anniversario
a cura di Elisa Debenedetti
Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) nella doppia ricorrenza
Claudio Strinati
La grande mostra Il tesoro di Antichità è stata una memorabile occasione per riprendere in esame il significato della carriera del Winckelmann a proposito della cosiddetta svolta neoclassica. Il percorso espositivo e il catalogo della mostra mettono in chiara evidenza sia la vastità e complessità della cultura del sommo studioso, sia le contraddizioni e gli stimoli derivanti dalla difficoltà di conciliare il doppio binario della figura del bibliotecario-archivista con quella dell’archeologo-storico dell’arte, difficoltà che Winckelmann riesce effettivamente a superare nel concreto della sua opera tanto da porsi quale autentico innovatore ed anzi iniziatore di un filone di studi che per molti aspetti ha mantenuta intatta la sua validità metodologica fino ai nostri tempi. Il nucleo centrale di questa ricerca è nella sempre più precisa e circostanziata individuazione della nascita della storia dell’arte per come è intesa adesso, quale disciplina autonoma ma fondata contestualmente su un imprescindibile equilibrio di filologia e filosofia.
The great exhibition Il tesoro di Antichità was a memorable occasion to reconsider the significance of Winckelmann’s career regarding the so-called neoclassical turning point. The exhibition and catalogue clearly show both the vastness and complexity of the supreme scholar’s culture, both the contradictions and stimuli deriving from the difficulty in combining the duality of the figure as librarian/archivist together with archaeologist/art historian, a difficulty which Winckelmann actually manages to overcome tangibly in his works so much so as to set himself as the authentic innovator and even promoter of an area of studies which, in many aspects, has maintained its methodological value intact up until now. The central nucleus of this research is in the always more precise and detailed detection of the art history’s birth as it is understood nowadays, as an autonomous discipline but founded simultaneously on an indispensable balance of philology and philosophy.
Winckelmann e i suoi Porporati
Steffi Roettgen
Nel corso dei suoi anni romani (1755-1768) Johann Joachim Winckelmann ha intrattenuto rapporti diretti e confidenziali con ben cinque cardinali che erano esponenti illustri della Curia romana, non tanto in campo politico quanto in quello culturale e intellettuale. Convertito al cattolicesimo prima di recarsi a Roma sotto la protezione di Alberico Archinto, allora nunzio apostolico alla corte sassone-polacca, trovò un’accoglienza privilegiata nell’Urbe dove grazie ad Archinto, promosso nel frattempo a Segretario di Stato, si inserì ben presto negli ambienti di studi filologici ed antiquari raggiungendo infine la nomina a prefetto delle antichità dello Stato della Chiesa. Essendo egli stato l’unico intellettuale tedesco del secolo dei lumi che riuscì a guadagnarsi una posizione così illustre a Roma bisogna chiedersi la ragione del suo successo e a questo punto non va trascurato il fatto che come convertito intellettuale era privilegiato nell’ambito della cultura ecclesiastica. Inizialmente la figura più interessante per l’archeologo tedesco fu senz’altro Domenico Passionei che lo accolse nella sua biblioteca e nel suo famoso circolo al cosiddetto ΄romitorio ΄di Camaldoli presso Frascati. Winckelmann si adattò abilmente alle pratiche diplomatiche consuete dei dipendenti e aspiranti delle »famiglie« dei porporati per costruirsi la sua esistenza economica e il suo avvenire da conoscitore ed esperto dell’antichità. Curando e calibrando le sue relazioni con Archinto, Passionei e soprattutto con Alessandro Albani riuscì ad acquistarsi un ruolo eminente nella Roma di Benedetto XIV e di Clemente XIII. Il suo comportamento verso i singoli personaggi, tra cui anche Spinelli e Stoppani, viene ben illustrato dai commenti contenuti nelle lettere ai corrispondenti tedeschi in cui spesso si vanta delle sue mosse abili per raggiungere i propri obiettivi non celando alcune riserve e critiche verso i suoi illustri interlocutori.
Il saggio offre una versione ampliata di una relazione tenutasi nell’ambito del convegno «Zirkulation, Transposition, Adaption. Winckelmanns italienische und europäische Rezeption», organizzato da Élisabeth Décultot (Halle/ Saale) e Fabrizio Slavazzi (Milano) al Centro Tedesco-italiano di Villa Vigoni, Menaggio, dal 7 al 9 novembre 2017. Ringrazio gli organizzatori per avermi concesso la pubblicazione in una sede più appropriata al tema trattato. Per facilitare i lettori italiani del testo tedesco ho inserito nelle note le traduzioni di alcune lettere di Winckelmann, approfittando per l’occasione dell’importante edizione completa e critica del carteggio winckelmanniano, a cura di Maria Fancelli e Joselita Raspi Serra, pubblicato dall’Istituto Italiano di Studi Germanici: [Johann Joachim Winckelmann, Lettere, edizione italiana completa, Roma 2016]. La storica edizione tedesca del carteggio, curato da Wolfgang Rehm e Hans Diepolder (Johann Joachim Winckelmann, Briefe, 4 volumi, Berlino 1952-1957) serve tuttavia come fonte principale per le lettere qui citate e riferite.
During his Roman years (1755-1768) Johann Joachim Winckelmann had direct and confidential relationships with exactly five cardinals who were illustrious exponents of the Roman Curia, not so much in the political field more so in the cultural and intellectual one. Having been converted to Catholicism before reaching Rome, under Alberico Archinto’s protection, who was then the apostolic nuncio to the Saxon-Polish court, he found privileged hospitality in Rome where thanks to Archinto, who in the meantime had been promoted to Secretary of State, he quickly inserted himself into the environment of philological and antiquarian studies where he finally became Prefect of Antiquities for the Church’s State. Having been the only German intellectual of the Age of Enlightenment who managed to procure himself such an important position in Rome, the fact must not be dismissed that as a converted intellectual he had a special relationship in the ecclesiastical cultural circle. Initially the most important person for the German archaeologist was without doubt Domenico Passionei who received him in his library and within his famous so-called ‘romitorio’ circle of Camaldoli in Frascati. Winckelmann adjusted himself admirably to the diplomatic practices customary of employees and aspiring cardinals’ “families” to build his economical existence and his future as connoisseur and antique expert. Taking care of and calibrating his relationships with Archinto, Passionei and above all Alessandro Albani he managed to acquire an eminent role in Benedict XIV and Clement XIII’s Rome. His attitude towards each of these figures, where we also have Spinelli and Stoppani, are revealed in his letters to German correspondents, where he often portrays his ability in reaching his own aims, not hiding some reservations and criticisms regarding his illustrious interlocutors.
The paper offers an extended version of an essay which was held at the conference >Zirkulation, Transposition, Adaption. Winckelmanns italienische und europaische Rezeption<, organized by Élisabeth Décultot (Halle/Saale) and Fabrizio Slavazzi (Milan) at the German-Italian Centre in Villa Vigoni, Menaggio, from 7-9 November 2017. I thank the organizers in allowing me the publication in a location more appropriate to the subject treated. In order to give a hand to the Italian readers of the German text I have inserted the Italian translation of some of Winckelmann’s letters in the notes taking advantage, for this occasion, of the important complete and critical edition of Winckelmann’s correspondence, edited by Maria Fancelli and Joselita Raspi Serra, published by the Italian Institute of German Studies: [Johann Joachim Winckelmann, Letters, complete Italian edition, Rome 2016]. The historical German edition of the correspondence, edited by Wolfgang Rehm and Hans Diepolder (Johann Joachim Winckelmann, Briefe, 4 volumes, Berlin 1952-1957) is useful as principal source of the letters mentioned and referred to here.
Tra lettere e licenze: luci e ombre su Winckelmann Commissario delle antichità (1763-1768)
Federica Papi
Combinando le informazioni ricavate dal ricco epistolario di Johann Joachim Winckelmann con le notizie contenute nelle licenze di esportazione rilasciate nei cinque anni in cui l’archeologo tedesco ricoprì la carica di Commissario delle Antichità di Roma, l’articolo esamina quale fu l’atteggiamento che il fondatore della moderna archeologia assunse nei confronti della tutela del patrimonio artistico romano, in particolare di quello pittorico, sia sotto il profilo ideologico (giudizi sulla pittura espressi nei suoi scritti), sia sotto l’aspetto amministrativo (attività di ‘controllore’ delle esportazioni di quadri), sia in rapporto con la normativa allora vigente (Editto Valenti del 1750).
Diviso in due parti lo studio ricostruisce, nella prima sezione, le ragioni che portarono al conferimento della prestigiosa nomina a uno ‘straniero’ a discapito di molti altri pretendenti, il clima culturale in cui tale scelta maturò, quali furono i personaggi chiave che sostennero la sua candidatura e come Winckelmann interpretò il suo incarico di “Prefetto delle Antichità”. Vengono inoltre definiti, anche attraverso le sue stesse parole, i reali compiti, doveri e responsabilità che spettavano al Commissario delle Antichità rispetto a quelli affidati dalla legge agli assessori e precisati i nomi e gli avvicendamenti dei ‘funzionari’ che lo affiancarono negli anni in quel delicato ruolo.
Partendo dalla cesura messa in atto da Winckelmann, almeno sul piano etico-professionale, con le passate amministrazioni dell’Ufficio di Commissario, e in particolare con la criticata conduzione del suo predecessore, l’abate Venuti, la seconda sezione si accosta alla figura di Winckelmann Commissario calandola nel contesto delle sue amicizie romane. In particolare vengono messi in risalto i rapporti che l’archeologo di Stendal strinse nell’Urbe con alcuni personaggi – artisti, abili commercianti e collezionisti d’arte internazionali –, cui è stata finora rivolta minore attenzione, ma che ebbero invece un rimarchevole ruolo nel suo inserimento agli “affari di Roma” e per il suo apprendimento delle logiche del mercato antiquario. Fra questi il pittore Niccolò Ricciolini, il mercante inglese William Kent e il suo amico commerciante Francesco Barazzi. L’interessante e inaspettata amicizia con il Ricciolini costituisce un ‘ponte’ per addentrarsi nei giudizi negativi che Winckelmann espresse nei confronti dei pittori che vissero dopo Raffaello, in particolare sui maestri del Sei e del Settecento le cui opere furono le più commerciate durante gli anni della sua presidenza, e di cui lui stesso non ostacolò mai l’esportazione, come documentano le licenze prese in considerazione in conclusione del testo.
Combining the information obtained from Johann Joachim Winckelmann’s rich collection of letters with those contained in the exportation permits released during the five years in which the German archaeologist filled the position as Commissioner of Antiques in Rome, the paper examines the founder of modern archaeology’s attitude regarding the protection of the Roman artistic heritage, especially the paintings, under the ideological profile (judgements regarding paintings expressed in his writings), the administrative profile (as ‘inspector’ regarding the exportation of paintings), and the relationship with the legislation then in force (Valenti Edict 1750). Divided into two parts, the first section of the paper reconstructs the reasons that led to the conferment of the prestigious appointment to a ‘foreigner’ in detriment of other applicants, the cultural climate in which such a choice was made, who were the main key characters who supported his candidacy and how Winckelmann interpreted his appointment as “Commissioner of Antiques”. The real tasks are defined, the duties and responsibilities that belonged to the Commissioner of Antiques in respect to those entrusted by law to the councillors, specifying the names and changes of ‘officials’ who helped him during those years in that difficult role.
Starting with Winckelmann’s interruption, at least on an ethical-professional level, with the past Commissioner’s Office administration, and in particular with the criticized conduction of his predecessor, the abate Venuti. The second section deals with Winckelmann the Commissioner and his Roman friends, in particular the relationship that Stendal’s archaeologist had with certain people in Rome – artists, skilled traders and international art collectors –, they had a remarkable role in introducing him to the “Roman affairs” and his learning the logics of the antique market. We have Niccolò Ricciolini the painter, the English merchant William Kent and his friend Francesco Barazzi the dealer. The interesting and unexpected friendship with Ricciolini constitutes a ‘bridge’ which allows us to penetrate the negative judgements expressed by Winckelmann towards the painters that lived after Raffaello, in particular the masters of the 17th and 18th centuries never obstructing their exportation. The permits taken into consideration in the conclusion of the text are documented.
“Quando con questo dubbio osservai di nuovo la nostra opera, mi si accese una luce”:
le intuizioni iconografiche di Winckelmann
Brigitte Kuhn Forte
In occasione del duecentocinquantesimo anniversario della morte di Johann Joachim Winckelmann, il contributo intende mettere in risalto il ruolo innovativo e il grande merito che lo studioso tedesco, giunto a Roma nel 1755, ebbe nello studio dell’iconografia della scultura antica. Questo campo delle sue ricerche risulta strettamente legato al suo metodo dell’autopsia diretta dell’opera d’arte, messo in atto sin dall’inizio del soggiorno romano, durante le assidue visite alle collezioni di antichità. L’osservazione meticolosa dei caratteri tecnici e stilistici, insieme alla sua vastissima conoscenza della mitologia e storia greca e degli autori antichi, lo portarono a cancellare antiche attribuzioni errate e a stabilire nuove denominazioni corrette per sculture famose come i gruppi Oreste e Elettra (Roma, Palazzo Altemps) e Oreste e Pylades (Gruppo di San Ildefonso, Madrid, Prado), entrambi provenienti dalla collezione Ludovisi: a proposito del primo, precedentemente interpretato come un soggetto romano, la raffigurazione del giovane Papirius, figlio di un senatore, con sua madre, egli fece notare che i capelli corti della donna nel mondo greco antico significano il lutto, e riconobbe – quasi una illustrazione della tragedia Elettra di Sofocle – sorella e fratello che si ritrovano davanti alla tomba del padre Agamennone; mentre il secondo gruppo nel Seicento veniva tradizionalmente creduto un ritratto dei Dioscuri Castore e Polluce, o dei consoli romani Publius Decius Mus maior e minor. La scoperta di Winckelmann che dovesse trattarsi di Oreste e del suo amico Pylades che sacrificano davanti alla tomba di Agamennone, viene oggi generalmente accettata, così come viene riconosciuto il vero soggetto di un celebre rilievo greco a tre figure del V secolo a.C. pervenuto in varie repliche (Rilievo di Orfeo), indicato per primo da Winckelmann nei Monumenti Antichi Inediti (1767), dove prestò particolare importanza alla ricerca iconografica: l’esemplare Borghese (oggi presso il Louvre) porta un’iscrizione moderna in latino Zetus, Antiopa, Amphion, mentre una replica a Napoli con i nomi incisi in greco Hermes, Eurydike, Orpheus, è annotata puntualmente da Winckelmann come più antica.
La sua prima e più prestigiosa intuizione è quella di aver identificato, sulla base di un passo di Plinio, che il tipo statuario dell’Apollon Sauroktonos (“uccisore di lucertole”) è opera dello scultore ateniese Prassitele (400/395 – 326 a.C.).
In altri casi riuscì solo ad avvicinarsi al vero soggetto dell’opera, come per la cosiddetta ‘Cleopatra’ (Musei Vaticani; per via di un bracciale a forma di serpente), solo nel 1831 riconosciuta da E.Q. Visconti come Arianna dormiente abbandonata da Teseo: avendo deciso, subito dopo l’arrivo a Roma, di dedicare uno scritto alle statue del Belvedere (mai pubblicato, ma confluito nelle due edizioni della sua grande opera Storia dell’Arte dell’Antichità (1764, 1776), Winckelmann iniziò con lo studio della ‘Cleopatra’, constatando che in nessun caso poteva trattarsi di una donna morente. La credette una Venere o una ninfa, ma il primo passo di rottura con vecchie attribuzioni era fatto. – Come negli altrettanto celebri Galata suicida (Palazzo Altemps), nel Seicento considerato il senatore romano Paetus e sua moglie Arria suicidi, e Galata morente (Musei Capitolini), intitolato Gladiatore romano: in entrambi rifiutò un soggetto romano, notò l’aspetto rozzo, i baffi dell’uomo, i capelli dritti e il vestito villoso della donna e concluse che non poteva essere greco, bensì nella maniera dei prigionieri barbari, in questo modo pianificando la strada alla giusta classificazione dei due marmi come copie romane di bronzi del Grande Donario Pergameno, un monumento di re Attalo I in memoria della vittoria sui Galati (ante 220 a.C.). Infine va ricordato che Winckelmann fu il primo a scoprire che un tipo iconografico molto noto, diffuso in numerosissime repliche di alta qualità sotto il nominativo Seneca, non rappresenta il filosofo stoico precettore di Nerone. Lo studioso infatti intuiva che avrebbe dovuto trattarsi di un personaggio vissuto molto tempo prima, e di maggiore riguardo di Seneca: la cui immagine viene oggi intitolata Pseudo Seneca. Studi più recenti vedono prevalentemente un ritratto di ricostruzione del poeta epico Esiodo (VIII secolo a.C.), o di un altro autore greco.
With Johann Joachim Winckelmann’s 250th death anniversary we have the opportunity to emphasize the innovative role and great merit which the German scholar, who arrived in Rome in 1755, had in the iconographical study of antique sculptures. This field of his research is closely tied to his direct autopsy-method on the work of art, put into practice right at the beginning of his Roman stay, during the diligent visits to the antique collections. The meticulous observation of the technical and stylistic features, together with his vast knowledge of Greek mythology, history and antique authors, brought him to cancel wrong antique attributions and to establish correct denominations for famous sculptures like the groups Oreste and Elettra (Rome, Palazzo Altemps) and Oreste and Pylades (Saint Ildefonso Group, Madrid, Prado), both coming from the Ludovisi collection: the first one was originally interpreted as a Roman subject, the representation of young Papirius, son of a senator, with his mother (he pointed out that the mother’s short hair in the antique Greek world meant mourning) and recognized his sister and brother in front of Agamemnon’s tomb – almost an illustration of the Elettra tragedy by Sophocles; whilst the second group, during the 17th century, was traditionally thought to be a portrait of the Dioscuri Castore e Polluce, or the Roman consuls Publius Decius Mus maior e minor. Winckelmann’s discovery that it was actually Oreste and his friend Pylades who sacrifice before the tomb of Agamemnon, is today generally accepted, like the recognition of a famous Greek relief with three figures of the V century B.C. reaching us in various replicas (The Orpheus Relief), indicated at first by Winckelmann in the Unpublished Ancient Monuments (1767), where he gave particular importance to the iconographical research: the Borghese example (today in the Louvre) holds a modern latin inscription Zetus, Antiopa, Amphion, whilst a replica in Naples with names inscribed in Greek Hermes, Eurydike, Orpheus, is duly noted down by Winckelmann as more antique.
His first and most prestigious intuition is when he identified, on the basis of one of Plinio’s extracts, that the statuary figure of Apollon Sauroktonos (“killer of lizzards”) belongs to the Greek sculptor Prassitele (400/395-326 B.C.).
On other occasions he only managed to approach the real subject of the artwork, like the so called ‘Cleopatra’ (Vatican Museums; due to the bracelet in snake form), it was only in 1831 that E.Q. Visconti recognized it as Ariadne dormant abandoned by Theseus. He decided, soon after his arrival in Rome to dedicate a writing to the Belvedere statues (never published, but merged into the two editions of his great work of Antique Art History (1764, 1776), Winckelmann began studying the ‘Cleopatra’, realizing that it could never represent a dying woman. He thought it could be a Venus or a nymph, however the first step towards breaking old attributions was made. As with the equally famous Suicidal Galata (Palazzo Altemps), which during the 17th century was considered to be the Roman senator Paetus and his wife Arria who both committed suicide, and the Dying Galata (Capitoline museums), entitled Roman Gladiator: refusing the Roman subject for them both, he noticed the rough appearance, the man’s moustache, the standing-up hair and the woman’s hairy dress reaching the conclusion that it couldn’t be Greek but in the manner of the barbarian prisoners, in this way opening up the route to the right classification of the two marbles as Roman copies of the Great Donario Pergameno bronzes, King Attalo Ist’s monument in memory of his victory over the Galatians (ante 220 B.C.). Finally it must be remembered that Winckelmann was the first to discover that a very famous iconographic type, widespread in many high quality replicas, does not represent the stoical philosopher Seneca Nero’s tutor. In fact Winckelmann had the intuition that it must be someone who had lived long before, more important than Seneca: whose image is now entitled Pseudo Seneca. More recent studies tend to see a reconstruction of the epic poet Esiodo (VIII century B.C.), or of another Greek author.
Winckelmann autore apodemico
Martin Disselkamp
Oggetto del saggio sono quattro frammenti inediti elaborati da Winckelmann al fine di offrire al lettore indicazioni per un giusto approccio alla visita della città di Roma. Le “lettere romane” non erano tuttavia destinate solamente a fornire una guida pratica a chi volesse mettersi in viaggio per l’Italia. Esse gravitano piuttosto intorno a una immagine ideale di Roma, realizzabile solo in forma letteraria: la città dell’arte per antonomasia assurge qui infatti alla dimensione ideale di luogo elettivo ove potessero trovare la propria patria più autentica tutti coloro che, all’inizio dell’età dell’individualismo, sentivano il bisogno di costruirsi una nuova identità culturale. Il progetto così vagheggiato, ma non realizzato per i problemi che, ad evidenza, ostacolarono la pubblicazione di un testo compiuto sull’argomento, potè tuttavia trovare parziale adempimento, sotto altra forma, più frammentaria e rapsodica, nel corpus di lettere che dalla Città Eterna Winckelmann indirizzerà agli amici.
The essay is about four unpublished fragments by Winckelmann, which offer the reader the best way to visit Rome. The “Roman Letters” were not meant to be merely a practical guide for travellers to Rome, but focus on the idea of Rome as a metropolis of art, as a virtual shelter for the educated, who had to redesign their cultural identity at the beginning of the era of individualism. Apparently, the publication of the project was hindered by insurmountable intrinsic obstacles; however, in Winckelmann’s correspondence with friends one can see his project realised to a certain extent.
Un database in miniatura. Il manoscritto di Winckelmann alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma
Gabriella Catalano
Dell’ampio lascito di Winckelmann, a Roma, la città dove lo storico dell’arte ha vissuto per circa undici anni, è rimasto solo un piccolo quaderno autografo, conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale. Nel quaderno, che reca il titolo Inscriptiones graecae et latinae, il fondatore della storia dell’arte e dell’archeologia moderna raccoglie iscrizioni greche e latine trovate nelle ville e nei giardini romani. La data del giugno 1756, indicata sotto al titolo, rende possibile riconoscerne l’appartenenza al progetto a cui lo studioso, giunto da pochi mesi a Roma, stava lavorando con l’obiettivo di fornire una dettagliata descrizione delle ville e dei palazzi della città, di ciò che in essi era conservato ed esposto. Seppure da una prospettiva periferica, lo studio del quaderno può essere un utile ausilio a cogliere il passaggio epocale di cui Winckelmann è stato interprete e portavoce: il passaggio dal sapere erudito, basato sulla lettura dei testi, all’approccio diretto e visivo alle opere d’arte dell’antichità.
Winckelmann lived in Rome for about eleven years leaving a small autograph notebook which can be found in the Central National Library. It’s entitled Inscriptiones graecae et latinae, June 1756, and the founder of Art History and Modern Archaeology collects Greek and Latin inscriptions which he found in the villas, palaces and Roman gardens with a detailed description of the treasures to be found within. This notebook can give us an idea of how Wincklemann, who had arrived in Rome a few months earlier, was the interpreter and spokesman of the passage from erudite knowledge, based on reading the texts, to the direct and visual approach of the antique work of art.
Addendum al corpus degli scritti di Winckelmann
Stefano Ferrari
Nell’archivio del castello de La Rochefoucauld (Charente) è riemersa una relazione manoscritta inedita di Johann Joachim Winckelmann, intitolata Extrait d’une Lettre sur les Decouvertes de la Ville de Pompeii. Essa era contenuta in una lettera, il cui originale è oggi purtroppo scomparso, indirizzata al duca Louis-Alexandre de La Rochefoucaul (1743-1792). L’estratto analizza alcune delle piú significative scoperte archeologiche dell’area napoletana, di cui Winckelmann è testimone in occasione del suo ultimo viaggio in Campania nel 1767, come la Caserma dei Gladiatori a Pompei, con il suo prezioso tesoro di elmi gladiatori, e la villa di Publio Vedio Pollione a Posillipo.
A handwritten unpublished script by Johann Joachim Winckelmann was found in the La Rochefoucauld (Charente) castle entitled Extrait d’une Lettre sur les ecouvertes de la Ville de Pompeii. It was in a letter addressed to Duke Louis-Alexandre de La Rochefoucauld (1743-1792), the original has unfortunately been lost. The paper analyses some of the most significant archaeological discoveries of the Neapolitan era that Winckelmann witnessed during his last trip to Campania in 1767, like the Gladiator barracks in Pompei, with its precious treasure of Gladiator helmets plus Publio Vedio Pollione’s villa in Posillipo.
Winckelmann nel Regno di Napoli, oltre il Museo ercolanense: Pozzuoli e Paestum
Fabio Mangone
Nell’ambito della vicenda umana e intellettuale di Johann Joackim Winckelmann, i quattro viaggi compiuti nel Regno di Napoli tra il 1758 e il 1767 risultarono di importanza capitale, non soltanto per l’ampliamento delle conoscenze archeologiche, ma anche per l’affinamento di un metodo e per la maturazione di una visione complessiva dell’Antico. Dell’insieme di queste esperienze, la storiografia si è finora soprattutto concentrata sulle questioni attinenti l’antichità di Ercolano, il relativo museo, nonché la lunga querelle sulle pubblicazioni non autorizzate di Winckelmann, assumendo spesso il punto di vista del Sassone come unica possibile chiave di lettura. Il presente saggio si sofferma invece sulle riflessioni da lui elaborate sui siti di Paestum e del tempio di Serapide a Pozzuoli, cercando di ricostruire anche la misconosciuta – e da lui sottaciuta - influenza su di esse della cultura napoletana, da lui frequentemente bistrattata.
The four trips to the Kingdom of Naples between 1758 and 1767 by Johann Joachim Winckelmann’s are of capital importance in a human and intellectual sense, not only for the increased archaeological knowledge but above all the method of refinement and the maturing of an overall vision of the ancient. Historiography has concentrated, up until now, on those regarding the Herculaneum antiques, it’s museum and the controversy about Winckelmann’s unauthorized publications, taking the Saxon’s point of view as the only possible interpretation. This paper concentrates on his observations regarding the Paestum sites and the Serapis temple in Pozzuoli, trying to reconstruct the unrecognized – and his unspoken of and frequently ill-treated – Neapolitan cultural influence on them.
Osservazioni dalla mostra Il Tesoro di Antichità (Musei Capitolini 7/12/2017 - 22/4/2018)
Pierluigi Panza
I Musei Capitolini hanno dedicato a Winckelmann una mostra intitolata Il Tesoro di Antichità, a cura di Claudio Parisi Presicce ed Eloisa Dodero (catalogo editore Gangemi). In mostra i pezzi dei Capitolini tante volte studiati e descritti da Winckelmann nei suoi libri, nelle sue lettere e nelle relazioni antiquarie. Un approfondimento è stato dedicato all’importanza che ebbero i Musei Capitolini per la storia della cultura artistica e un altro ai primi allestimenti del museo, presentati attraverso opere dell’epoca. L’eredità che lascia questa mostra è quella di aprire un canale di studio su Winckelmann come Commissario alle antichità: manca ancora un regesto completo dei suoi nulla osta per l’espatrio. Nella seconda parte di questo intervento avviamo così un approfondimento su un particolare di questo ruolo svolto dallo studioso prussiano: la sfida con Piranesi e i motivi per i quali i ruoli di Commissario e Assessore alle antichità non venivano assegnati agli artisti.
There is an exhibition dedicated to Winckelmann entitled Il Tesoro di Antichità in the Capitoline Museum, by Claudio Parisi Presicce and Eloisa Dodero (Gangemi catalogue). The Capitoline exhibits have been described and studied by Winckelmann many times in his books, letters and studies. In-depth study of the Capitoline Museums’ importance regarding the history of artistic culture and another about the Museum’s first installations, are all portrayed through the works of that period. This exhibition’s legacy will be to open up a channel of studies about Winckelmann as Commissioner of Antiques: although a complete register of his clearance for expatriation is still lacking. In the second part of this paper there’s an elaboration on a particular feature about the Prussian scholar’s role: the challenge with Piranesi and the reasons why the Commissioner and Councillor for Antiques’ role was not assigned to artists.
Winckelmann. Moderne Antike, recensione della mostra al Neues Museum di Weimar (7 aprile-2 luglio 2017)
Davide Ferri
La mostra che il Neues Museum di Weimar ha dedicato a Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) in occasione dei trecento anni dalla sua nascita si propone di rileggere i suoi scritti in chiave internazionale ed interdisciplinare. La mostra si articola in due aree tematiche, la prima dedicata alla biografia e alla genesi del pensiero di Winckelmann, la seconda alla fortuna critica delle teorie estetiche formulate dallo studioso, prediligendo un approccio metodologico pluralistico ed inclusivo che si sofferma su singole questioni di natura estetica, antropologica, storico-politica e scientifica. La recensione si concentra su alcuni aspetti curatoriali e di metodo e fornisce una panoramica sui principali oggetti esposti.
For Johann Joachim Winckelmann’s three hundred year birth anniversary (1717-1768) there was an exhibition in the Neues Museum in Weimar. His works will be reread in an international and interdisciplinary key. The exhibition revolves around two themes, the first is dedicated to the biography and Winckelmann’s genesis of thought, the second to the critical fortune of the aesthetic theories formulated by the scholar preferring a pluralistic and inclusive methodological approach that focuses on individual aesthetic, anthropological, historical-political and scientific issues. This paper concentrates on certain curatorial and method aspects and provides an overview regarding the main exhibits.
Winckelmann a Milano
Pierluigi Panza
Il doppio anniversario della nascita (1717-2017) e della morte (1768-2018) di Johann Joachim Winckelmann è stato occasione a Milano – dove l’archeologo non ha mai messo piede – per una ricognizione sul rapporto tra il suo pensiero e gli studi in terra lombarda. Una mostra, “Winckelmann a Milano” (Biblioteca Braidense e Istituto Lombardo. Accademia di Scienze e Lettere) e un Convegno internazionale “Winckelmann, l’antichità classica e la Lombardia” (Università degli Studi di Bergamo e di Milano) si sono posti il compito di indagare questo tema. Esplorata, in particolare, la rete di rapporti sviluppatasi intorno alla traduzione milanese della Geschichte del 1779 che rivela la conoscenza di Winckelmann presso antiquari lombardi, politici come il plenipotenziario conte Firmian, ambienti religiosi legati alla Biblioteca Ambrosiana e quelli artistici intorno alla nascente Brera (catalogo Scalpendi per la mostra “Winckelmann a Milano” mentre usciranno gli atti del convegno).
The double anniversary of Johann Joachim Winckelmann’s birth (1717-2017) and death (1768-2018) was the occasion to identify the difference between his reflections and his studies done in Milan, where he never set foot. The exhibition “Winckelmann in Milan” (Braidense Library and Lombard Institute. Academy of Science and Letters) and an international Convention “Winckelmann, classical antiquity and Lombardy” (Bergamo and Milan University of Studies) have set themselves the task of investigating this theme. The network of relations that developed around the Milanese translation of the Geschichte (1779) was particularly explored revealing Winckelmann’s acquaintance with Lombard antique dealers, politicians like the plenipotentiary Count Firmian, religious environments connected with the Ambrosiana Library plus the artistic ones around the nascent Brera (Scalpendi catalogue for the “Winckelmann in Milan” exhibition whilst the conference proceedings will follow).
Iniziative dei Musei Vaticani in occasione delle celebrazioni dedicate a Johann Joachim Winckelmann
Claudia Valeri
In occasione dell’importante anniversario winckelmanniano, i Musei Vaticani hanno voluto ricordare la figura del grande studioso attraverso due eventi. La Giornata di Studio, dal titolo «J. J. Winckelmann e le collezioni di Roma. Le antichità Montalto a Villa Negroni» e organizzata dal Reparto di Antichità Greche e Romane, si è svolta nella Sala Conferenze dei Musei il 18 maggio 2018. Come è noto, le collezioni pontificie conservano un cospicuo nucleo di sculture provenienti dalla collezione Peretti Montalto Negroni Massimo, completamente dispersa alla fine del Settecento. Nel corso del convegno si è cercato di approfondire la natura della collezione di scultura antica, soprattutto partendo dal prezioso strumento dell’Album Montalto, e di valorizzare i reperti sui quali Winckelmann puntò il suo occhio critico.
In ottobre, inoltre, verrà inaugurato un percorso tematico dal titolo Winckelmann. Capolavori diffusi nei Musei Vaticani, promosso coralmente dai Reparti scientifici dei Musei. Costituita da circa cinquanta opere e rivolta soprattutto al grande pubblico, che quotidianamente percorre le gallerie pontificie, la mostra diffusa intende offrire un “incontro” con il padre dell’archeologia, nonché fondatore della storia dell’arte quale scienza. Statue egizie, ceramiche a figure rosse, sculture classiche, pitture e suppellettili di età romana che, distribuite tra i vari settori dei Musei, sono state selezionate soprattutto in base al ruolo che Winckelmann attribuì loro nell’ambito della costruzione del pensiero estetico enunciato nella Geschichte. Non saranno tralasciati alcuni temi collaterali, come la ricerca filologica nelle attribuzioni delle iconografie antiche, alcune vicende collezionistiche, ma anche i giudizi che il letterato tedesco pronunciò in riferimento agli artisti dell’epoca moderna.
For the important Winckelmannian anniversary, the Vatican Museums wanted to remember the great scholar through two events. The Study Day, entitled J.J. Winckelmann and the Roman collections. The Montalto antiquities in Villa Negroni organized by the Department of Greek and Roman antiquities, which took place in the Museums’ Conference Room on May 18, 2018. It’s a well-known fact that the Pontifical collection holds a significant nucleus of sculptures originating from the Peretti Montalto Negroni Massimo collection, completely scattered at the end of the 18th century. During the convention a more thorough study was made regarding the nature of this antique sculpture collection, starting with the precious Montalto Album, and enhancing Winckelmann’s findings.
The Museum’s Scientific Department will promote, in October, a theme entitled Winckelmann. Widespread masterpieces in the Vatican museums, consisting of about fifty works and aiming it for the public. The exhibition intends to offer an ‘encounter’ with the father of Archaeology and the founder of Art History as a science. Egyptian statues, red-figure pottery, classical sculptures, Roman paintings and furnishings will be distributed amongst the various sections of the Museums. They have been selected according to Winckelmann’s attributions through the construction of aesthetic thought enunciated in the Geschichte. No collateral themes will be neglected, like the philological research in attributing ancient iconographies, some collector’s events, even the German scholar’s judgements concerning the artists of the time.
La “Sala delle cose egizie” del museo Pio-Clementino: alcune considerazioni
Rosella Carloni
Sulla base di alcuni documenti inediti, rintracciati presso l’Archivio Segreto Vaticano e l’Archivio Storico dei Musei Vaticani, si propone un’ipotesi sul possibile progetto iniziale di sistemazione delle antichità egizie nel museo Pio-Clementino da parte del direttore Giovanni Battista Visconti e portato avanti, dopo la sua morte, dal figlio Filippo Aurelio. Ne derivano alcune considerazioni sull’allestimento della Sala a Croce Greca e del”Primo ripartimento” della Galleria dei Candelabri che, realizzato negli anni Ottanta e Novanta, mostra l’ interesse dei Visconti nei confronti dell’arte egizia e testimonia l’importanza del lascito del Winckelmann per la cultura antiquaria romana di quegli anni.
Giovanni Battista Visconti, the director of the Pio-Clementino Museum suggested a reorganisation of the Egyptian antiquities on the basis of some unpublished documents found in the Vatican’s Secret Archive and in the Vatican Museums’ Historical Archive, continued by his son Filippo Aurelio, after his death. Here are some considerations regarding the preparation of the Greek Cross Hall and the “First partition” of the Hall of Candelabras which, completed during the 80’s and 90’s, shows the Viscontis’ interest in Egyptian art and Winckelmann’s important legacy regarding Rome’s antiquarian culture during those years.
Dipinti e opere d’arte in Casa Albani. L’allestimento delle collezioni di famiglia in un inventario del 1724
Matteo Borchia
Il contributo analizza un inedito inventario delle opere d’arte conservate nel Palazzo Albani di Roma, risalente al 1724. Benché non illustri tutte le stanze dell’edificio, il documento elenca oltre un migliaio di dipinti appesi alle pareti del palazzo, accanto a disegni, stampe e alcune sculture. È così possibile definire l’entità della quadreria Albani, dispersa in più occasioni tra la fine del Settecento e il XIX secolo. La raccolta, iniziata da Clemente XI e arricchita dai suoi familiari, presentava un evidente riferimento alla tradizione classicista cinque e seicentesca e conservava quadri di tutti i numerosi pittori che presero parte ai molti cantieri avviati dal Pontefice, primo fra tutti Carlo Maratti.
This paper analyses an unpublished artworks inventory belonging to the Albani Palace in Rome dating back to 1724. Although it does not illustrate all the rooms of the palace, the document lists over a thousand paintings hanging on its walls, together with drawings, prints and some statues. It is therefore possible to define the entity of the Albani gallery, dispersed in more than one occasion between the end of the 18th and the 19th century. The collection which began with Clemente XI was enriched by his family, presented an obvious reference to the classical 16th and 17th century tradition, above all Carlo Maratti.
Pergolati, fontane ed erme a Villa Albani: un’ipotesi di ricostruzione
Alberta Campitelli
Due acqueforti, probabili prove di esecuzione, tratte da disegni di Charles Percier e realizzate da Filhol, celebre incisore, sono l’occasione per ricostruire l’assetto di due siti della Villa Albani Torlonia dove, nel Settecento e fino ai primi decenni dell’Ottocento, vi erano pergolati di verzura ad inquadrare alcuni arredi scultorei. Sulla scorta delle descrizioni d’epoca e di alcuni importanti saggi, è stato possibile anche ripercorrere le vicende delle sculture raffigurate, oggi non più in loco o smembrate e mutilate. Oltre al raffronto tra i disegni di Percier e le acqueforti, sono stati presi in esame due disegni della Villa di Pierre Adrien Pâris e di Hubert Robert.
Two etchings, probable execution tests taken from drawings by Charles Percier, were accomplished by Filhol, who was also a celebrated engraver. They being the opportunity to restore the structure of two Villa Albani Torlonia sites where, during the 18th and first 19th century decades, there were green pergolas framing a few sculptures. On the basis of period descriptions and a few important essays, it was also possible to retrace the events of the sculptures depicted, no longer in loco or dismembered and mutilated. In addition to the comparison between Percier’s drawings and etchings, two drawings of the Villa by Pierre Adrien Paris and Hubert Robert have been taken into consideration.
La genesi della Pala di Possagno e l’interpretazione critica di Giulio Carlo Argan
Elisa Debenedetti
Due disegni già appartenuti a Missirini e da lui ceduti (per ragioni puntualmente analizzate nel testo) ad una Bentivoglio di Firenze, in seguito rintracciati sul mercato antiquario, ci offrono il pretesto per tornare sulla Pala del Tempio di Possagno e per una valutazione della poetica di Canova secondo l’interpretazione critica di Giulio Carlo Argan. Quasi che quest’opera estrema, realizzata in pittura, aderendo alle varie sfumature dell’estetica contemporanea – che possono dar vita ad una vasta gamma di esperienze emotive, da Winckelmann agli Inglesi –, si possa considerare l’esemplificazione perfetta di quella chiave critica che permette di giungere alla definizione dell’arte canoviana come processo di “esecuzione sublime”.
Two drawings belonging to Missirini and submitted by him (the reasons are analysed in the text) to a Bentivoglio of Florence, and subsequently retraced on the antiquarian market, offer us the pretext to return to the Possagno Temple’s altarpiece and the assessment of Canova’s poetics according to Giulio Carlo Argan’s critical interpretation. Almost as though this extreme work of painting, which adheres to the various shades of contemporary aesthetics – giving us a wide range of emotional experiences, from Winckelmann to the English –, can be considered as the perfect illustration of that critical key that allows us to reach the definition of Canovian art as a process of “sublime execution”.