Studi sul Settecento Romano
Rivista annuale, ANVUR classe A
Studi sul Settecento Romano 31
Antico, Città, Architettura, II
dai disegni e manoscritti dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte
a cura di Elisa Debenedetti
Su alcuni disegni bolognesi di architettura del Sei-Settecento
Deanna Lenzi
Mentre è in preparazione una monografia sull’architetto ‘bolognese’ del Settecento Alfonso Torreggiani (1682-1764) recenti contributi ne hanno messo in rilievo l’apprendistato presso Giuseppe Antonio Torri (1658-1713) nei primi anni del secolo (Lenzi, 2014). Anche se, purtroppo, i disegni Lanciani attribuibili ai due architetti analizzati in questa occasione non sono pertinenti rispetto a questo specifico problema riguardano tuttavia importanti fabbriche del tardobarocco emiliano: la Chiesa di San Domenico di Modena (1708), il salone della Villa dei Pepoli a Trecenta nel Rovigotto (1686), entrambi del Torri, la facciata della Chiesa bolognese di Santa Maria di Galliera, non eseguita, per la quale Torreggiani propone il rococò del vicino spendido Oratorio di San Filippo Neri.
While preparing a monograph on the ‘Bolognese’ architect of the eighteenth century Alfonso Torreggiani (1682-1764), recent studies have emphasized his apprenticeship with Giuseppe Antonio Torri (1658-1713) during the first years of the century (Lenzi 2014). Even though the Lanciani drawings attributed to the two architects which have been analyzed on this occasion are, unfortunately, not relevant to this specific problem, they do however concern important factories of the late baroque in Emilia: the San Domenico church of Modena (1708), the Villa dei Pepoli’s hall in Trecenta in the Rovigo area (1686), both by Torri, the unaccomplished façade of the Santa Maria di Galliera church in Bologna, for which Torreggiani proposes the rococò of the splendid Oratorio di San Filippo Neri nearby.
Il Palazzo Nuñez e i suoi proprietari
Roberto Valeriani
Il foglio XI 5135 del Fondo Lanciani illustra la pianta di un edificio situato fra via dei Condotti, via Bocca di Leone e via Belsiana, nel momento in cui esso stava per divenire, o era appena divenuto, proprietà di Luciano Bonaparte nel 1806. L’edificio era stato edificato verso il 1659 da un banchiere portoghese, Francesco Nuñez Sanchez, stabilitosi a Roma verso il 1620 in veste di pagatore di un tributo regio della Corona Portoghese che in quel periodo era parte del regno spagnolo. Nello scritto si indagano le vicende del committente, della sua famiglia e le notizie documentali e grafiche sull’area. Il palazzo venne innalzato da Giovanni Antonio de Rossi e all’interno presenta un cortile con terrazzo e logge seguendo una tipologia non comune a Roma: questa struttura e il grande dispiego di volte affrescate dimostrano la convivenza di numerosi gruppi famigliari. Le pitture, in parte già note, si devono a Giovanni Francesco Grimaldi e in parte a Giacinto Calandrucci; ora si illustrano anche affreschi fino ad oggi inediti, alcuni dei quali risalenti ad una fase decorativa a cavallo del XVIII secolo. A partire dal 1806 la dimora divenne sede della celebre raccolta di opere d’arte di Luciano Bonaparte che comprò le proprietà dell’intero isolato in modo da farne un unico edificio. Passato da Luciano al fratello Gerolamo nel 1823 divenne proprietà di Marino Torlonia nel 1842 e da questi fu ampliato e abbellito con l’aiuto dell’architetto Antonio e di pittori diversi.
The Fondo Lanciani’s sheet XI 5135 illustrates the plan of a building situated between via dei Condotti, via Bocca di Leone and via Belsiana, the moment it was in the making, or had only just become, Luciano Bonaparte’s property in 1806. The building had been built around 1659 by a Portuguese banker, Francesco Nunez Sanchez, who had settled down in Rome around 1620 in his capacity as payer of a Portuguese Crown’s royal duty which at that time was part of the Spanish Kingdom. This document investigates the commissioner’s affairs, his family plus the documental and graphical news concerning the area. The building was erected by Giovanni Antonio de Rossi and on the inside we have a courtyard with terrace and porticoes quite unusual for Rome: this structure together with the great unfurling frescoed vaults demonstrates the coexistence of numerous family groups. The paintings, partially well known, are attributed to Giovanni Francesco Grimaldi and partly to Giacinto Calandrucci; we will now illustrate frescoes which were unpublished until now, some of which can be traced back to a decorative period during the eighteenth century. In 1806 Luciano Bonaparte bought the whole block making it into one building and placed his famous works of art collection. It then passed from Luciano to his brother Gerolamo in 1823 and then became part of Marino Torlonia’s property in 1842, who amplified and embellished it with the help of Antonio the architect and other painters.
Dal Manoscritto 19A presso la BiASA: notizie e due disegni del nuovo Palazzo arcivescovile di Ferrara
Dimitri Ticconi
Con la nomina di Tommaso Ruffo di Bagnara (1663-1753) a vescovo di Ferrara nel maggio 1717 si apre un fertile periodo di iniziative destinate a cambiare il volto dei luoghi episcopali della città. Il cantiere di rimodernamento della Cattedrale, già intrapreso negli anni precedenti con poca fortuna, fu riavviato e contestualmente il Ruffo volle atterrare il precedente Palazzo Vescovile, assieme ad un cospicuo numero di case e botteghe adiacenti, per rifabbricarne uno nuovo ‘di tutta pianta’. I cronachisti locali Nicolò e Girolamo Baruffaldi, testimoni degli eventi, avevano indicato nell’architetto romano Tommaso Mattei (1652-1726) il sovrintendente alle fabbriche del Ruffo. Per nulla conosciuto a Ferrara, il Mattei proveniva dal tirocinio giovanile maturato nell’entourage della bottega del Bernini, vantando un apprendistato a fianco di Carlo Rainaldi del quale fu anche stretto collaboratore.
Il Manoscritto Ruffo 19A custodito presso la BiASA e contenente la raccolta degli atti di permuta delle case e botteghe poi demolite, fornisce una notevole ed incontrovertibile prova documentale riguardo all’attribuzione dei progetti del Palazzo Vescovile al Mattei. All’interno del manoscritto si trova pure un disegno delle dieci botteghe al piano terra e sei mezzanini che formarono il donativo Ruffo al Seminario Vescovile. L’architettura e la decorazione del nuovo palazzo suggeriscono la presenza di sottesi significati iconologici con riguardo all’affermazione del potere temporale e religioso della Chiesa di Roma in una sua provincia, esprimendo un aspetto della cultura architettonica romana del primo ‘700, in particolare nello scalone d’onore, prototipo di altre realizzazioni in ambiente ferrarese-padano. L’opera ferrarese del Mattei servì anche a rivitalizzare l’architettura in quella provincia, mentre ebbe significativi sviluppi per l’ultima attività romana dell’architetto e per quella di allievi e collaboratori.
With Tommaso Ruffo di Bagnara’s (1663-1753) nomination as Archbishop of Ferrara in May 1717 a fertile period starts with initiatives that will change the outward appearance of the Episcopal places in the city. The Cathedral’s building site of re-modernization, attempted previously with little fortune, was reactivated. Ruffo wanted to demolish the previous Archbishop’s Palace together with a conspicuous number of adjacent houses and shops, so as to build a completely new one. The local reporters Nicolò and Girolamo Baruffaldi, witnesses of the events, had indicated the Roman architect Tommaso Mattei (1652-1726) as being the supervisor of Ruffo’s building site. He wasn’t known in Ferrara at all, Mattei came from a juvenile apprenticeship in Bernini’s work shop, boasting about having been together with Carlo Rainaldi, with whom he was also a close collaborator.
The 19A Ruffo Manuscript kept in the BiASA and containing the collection of trade in value acts of the houses and shops then demolished, supply a notorious and indisputable documentary proof regarding the attribution of the Archbishop’s Palace to Mattei. One can also find a drawing of the ten shops on the ground floor and six entresols in the manuscript which constituted the Ruffo donation to the Archbishop’s Seminary. The new palace’s architecture and decoration suggest underlying iconological meanings with attention in asserting the temporal and religious powers of the Church of Rome in one of her provinces, expressing an aspect of the Roman architectural culture at the beginning of the eighteenth century, in particular in the monumental staircase, prototype of other accomplishments in the Ferrara-Padua environment. Mattei’s work in Ferrara also helped to revitalize that province’s architecture, whilst having significant developments for the architect, his students and collaborators in their final Roman activity.
Louis-Joseph Le Lorrain e Gabriel-Martin Dumont pensionnaires a Roma e tre apparati effimeri riconsiderati
(Roma, 1744-1746)
Aloisio Antinori
Muovendo da una stampa appartenente al Fondo Rodolfo Lanciani dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, il contributo intende gettare nuova luce su tre apparati festivi presentati al pubblico a Roma tra il settembre del 1744 e il giugno del 1746. Si tratta della spettacolare rappresentazione allegorica messa in scena in Palazzo Mancini, sede dell’Accademia di Francia a Roma, in occasione del ristabilimento di Luigi XV dopo una grave malattia, e di due macchine pirotecniche per la festa della Chinea, pensate come grandi architetture – un arco trionfale e un tempio – e innalzate in piazza Farnese rispettivamente il 29 giugno 1745 e il 28 giugno 1746. Il primo di questi allestimenti è di solito considerato un lavoro collettivo dei pensionnaires dell’Accademia di Francia, mentre le due costruzioni effimere sono sempre state attribuite al pittore Louis-Joseph Le Lorrain, anch’egli residente presso l’istituzione francese, che dichiara di esserne l’autore nelle incisioni che le riproducono.
Sulla base di un’analisi stilistica dei tre apparati condotta in rapporto alla cronologia degli eventi, l’autore di questo contributo propone invece che l’allestimento in Palazzo Mancini e specialmente la macchina pirotecnica del 1745 siano da riferire a una collaborazione tra Le Lorrain e l’architetto Gabriel-Martin Dumont. Quest’ultimo era arrivato a Roma nel novembre del 1742 ed era divenuto in breve tempo una figura di primo piano non soltanto nell’ambiente dell’Accademia di Francia. Nell’aprile del 1746, pochi giorni prima di ritornare a Parigi, Dumont fu perfino ammesso all’Accademia di San Luca come “accademico di merito”, un riconoscimento del tutto insolito per un giovane artista straniero.
Con la macchina per la festa della Chinea del 1746 la situazione cambia, perché Le Lorrain la disegnò quando l’influente Dumont era ormai uscito di scena. Essa è infatti molto diversa da quella dell’anno precedente e rivela il rinnovato interesse del suo autore per la Roma antica immaginata da Giovanni Battista Piranesi. Nel 1746 il grande artista veneziano si trovava nella sua città d’origine, ma per lungo tempo, tra la fine del 1740 e i primi mesi del 1744, egli aveva portato avanti un rapporto, basato su comuni interessi artistici, con alcuni pensionnaires di Palazzo Mancini, tra i quali Louis-Joseph Le Lorrain.
Starting from a print belonging to the Rodolfo Lanciani Fund of the National Institute of Archaeology and History of Art, this contribution intends to throw new light over three festive structures presented to the Roman public between September 1744 and June 1746. A spectacular allegorical representation was organized in Palazzo Mancini, seat of the French Academy in Rome, to celebrate Louis XV recovery after a serious illness, plus two pyrotechnical machines, like great architectures, for the Chinèa feast – a triumphal arch and a temple – erected in piazza Farnese respectively on 29 June 1745 and 28 June 1746. The first production is normally considered to be a collective work of the French Academy’s pensionnaires, whilst the two ephemeral constructions have always been attributed to the painter Louis-Joseph Le Lorrain, who declares to be the author in the incisions that reproduces them, and was also a resident of the French institution.
On the basis of a stylistic analysis of the three structures, conducted in relation to the chronology of the events, the author of this contribution would like to suggest that the construction in Palazzo Mancini, particularly the 1745 pyrotechnical machine, should be attributed to a collaboration between Le Lorrain and the architect Gabriel-Martin Dumont. The latter arrived in Rome in 1742 and had become well known even outside the French Academy’s circle. In April 1746, a few days before returning to Paris, Dumont was even admitted to the St. Luke’s Academy as “academic of merit”, a very unusual recognition for such a young foreign artist.
The situation changes with the 1746 Chinèa- feast machine as Le Lorrain drew it when the influential Dumont had already left the scene. This one is very different to that of the previous year and reveals the author’s renewed interest for antique Rome imagined by Giovanni Battista Piranesi. In 1746 the great Venetian artist was in his city of origin, but for a long time, between the end of 1740 and the first months of 1744, he had collaborated with some pensionnaires of Palazzo Mancini, among whom we have Louis-Joseph Le Lorrain.
Le Vedute di Roma di Francesco Pannini nelle cartelle della Collezione Lanciani
Maria Celeste Cola
Le grandi tavole acquarellate conservate nelle cartelle 61 I e II dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte costituiscono una importante testimonianza dell’opera grafica di Francesco Pannini ed una fonte di particolare rilievo per lo studio della Veduta a Roma nella seconda metà del Settecento. I fogli acquistati da Lanciani e raccolti nelle due cartelle con l’intento di ricostruire il corpus panniniano della serie delle Vedute della Roma antica e moderna si alternano alle incisioni corrispondenti, ad un piccolo gruppo di contorni acquarellati in parte qui riferiti a Franz Kesiserman e ad un foglio raffigurante “Il cortile del Belvedere” di Ducros. Le due cartelle, una sorta di collage che vede messi a péndant, dove possibile, fogli acquarellati ed incisioni che si fronteggiano tra loro come le celebri “Gallerie” di Giovanni Paolo, restituiscono nel loro insieme quella immagine della Roma antica e moderna fissata da Giovanni Paolo nei dipinti realizzati per il cardinale Silvio Valenti Gonzaga e il duca di Choiseul riproposta da Francesco nei grandi fogli acquarellati. Il contributo analizza la serie dei fogli acquarellati individuandone la loro derivazione dai dipinti di Giovanni Paolo mettendo in risalto l’eredità dell’artista piacentino ed il debito di Francesco con le nuove vedute della Città dipinte da artisti inglesi e francesi.
The big water-coloured plates kept in the portfolios 61 I and II of the National Institute of Archaeology and History of Art establish an important proof of Francesco Pannini’s graphic works and are a source of particular importance in studying the Views of Rome during the second half of the eighteenth century. The drawings were bought by Lanciani and collected in the two portfolios with the intention of reconstructing the Pannini corpus of the Antique and Modern Views of Rome. They interchange with the corresponding incisions to a small group of water coloured outlines by Franz Kesiserman, partially referred to here, and to a drawing portraying the Ducros “Belvedere courtyard”.
The two portfolios are a kind of collage where one can see them being put on a pendant where possible, water coloured sheets and incisions which confront each other like the famous “Gallerie” by Giovanni Paolo, restoring in their overall effect, that image of antique and modern Rome fixed by Giovanni Paolo in those paintings done for Cardinal Silvio Valenti Gonzaga and the Duke of Choiseul, and newly proposed by Francesco in those big water coloured sheets. This contribution analyses the series of water coloured sheets identifying their origin in Giovanni Paolo’s paintings and by emphasizing the Piacenza artist’s inheritance and Francesco’s debt with the new views of the City painted by the English and French artists.
Un Taccuino di disegni di Giuseppe Cunego (Verona c. 1754-Roma post 1824):
paesaggi dalla campagna romana del frate incisore
Ilaria Pascale
Il Taccuino di paesaggi firmato “Fr. Hieronimus Cunego Veronensis F.B.F.” e datato dall’Autore al 1786 è da assegnare alla mano del secondogenito di Domenico, Giuseppe, il quale abbandonò l’arte di famiglia per divenire membro dell’Ordine dei Fatebenefratelli. L’insieme dei fogli documenta infatti un momento successivo alle poche opere note del frate incisore, le acqueforti dagli affreschi di Dughet a Palazzo Colonna e quelle dai “Paesaggi italiani con figure” di De Capo. Gli studi sul motivo paesaggistico che caratterizzano il Taccuino, composto da novantuno disegni acquerellati in tinta grigio-seppia, furono con ogni probabilità frutto dapprima di un itinerario percorso nella campagna romana, nella valle dell’Aniene in particolare, ma costituirono per lo più occasione per elaborare una personale interpretazione della natura, da un lato ancora fortemente legata al modello secentesco e alle forme dell’Arcadia settecentesca, dall’altro consapevole delle nuove possibilità che il richiamo al plein air offriva ai paesaggisti di fine secolo. Condizionato dai rapporti del padre con l’ambiente francese e inglese, Cunego ebbe modo di educare la propria cultura figurativa anche avvalendosi dei frutti della collaborazione di Volpato con Ducros. Disinteressato agli approfondimenti documentaristici del territorio, egli curò maggiormente l’impaginazione prospettica rivelando, in alcune composizioni più che in altre, la sintesi propria del gusto nuovo che andava affermandosi nella produzione che a questo genere veniva dedicata nel penultimo decennio del XVIII secolo.
The notebook of landscapes signed by “Fr. Hieronimus Cunego Veronensis F.B.F.” and dated 1786 by the author are to be assigned to Domenico’s younger son, Giuseppe, who abandoned the family tradition to become a member of the Fatebenefratelli Order. This collection of sheets proves in fact a subsequent moment to the friar/engraver’s few famous works, the etchings from Dughet’s frescoes in Palazzo Colonna and those from De Capo’s “Paesaggi italiani con figure”. The studies regarding the landscape motif that distinguishes the Notebook, combining ninety one water- coloured drawings in a grey-sepia shade, were probably done to begin with while walking through the Roman countryside, in the Aniene valley in particular, but are, above all, an occasion to elaborate a personal interpretation of nature. On the one hand they are strongly attached to the seventeenth century model and to the eighteenth century Arcadia style, on the other they are aware of the new possibilities which the plein air offered to landscapers at the turn of the century. Conditioned by his father’s relationships with the French and English environment, Cunego was able to educate his own figurative arts by making use of the collaboration between Volpato and Ducros. Not interested in elaborating territorial documentary, he mainly attended to the perspective make up, revealing in some compositions more than others, his own synthesis of the new taste which started to assert itself in the production which was being dedicated to this category during the second last decade of the XVIII Century.
Giani e i disegni dal Sepolcro dei Nasoni nel manoscritto Lanciani 34 bis
Erminia Gentili Ortona
Nel 1990 Paolo Pellegrino individuava, in un volume del Fondo Lanciani, 26 fogli, provenienti dalla collezione di disegni di Rodolfo Lanciani, attribuiti a Felice Giani. Sono questi disegni che, numerati e inseriti oggi in una piccola cartella, formano il codice 34 bis del Fondo Lanciani. Il codice, dopo la schedatura di Muzzioli e Pellegrino nel 1991-1992, non è stato ulteriormente studiato.
I disegni del codice 34 bis sono in gran parte copie delle incisioni di Pietro Santi Bartoli dal Sepolcro de’ Nasoni (1680), l’opera più nota sulla pittura antica, ancora durante tutto il Settecento, che per la qualità e l’interesse delle sue immagini ebbe un’influenza notevole anche sulla decorazione dei palazzi romani durante il ‘600 e il ‘700. L’esame dei singoli fogli attribuisce con certezza a Felice Giani 22 dei 26 disegni del codice, tra i più geniali e omogenei della sua opera di ripresa dell’Antico. Oltre all’esame dei singoli disegni lo scritto riflette sull’importanza avuta dalla produzione incisa di Bartoli, e più in generale delle raccolte di stampe, nel complesso dell’opera di Giani e sul significato di “copia” nella sua opera grafica e pittorica.
In 1990 Paolo Pellegrino identified, in a volume of the Lanciani Fund, 26 sheets deriving from Rodolfo Lanciani’s collection of drawings and attributed to Felice Giani. These are the drawings, now numbered and inserted into a small folder, that compose code 34 bis of the Lanciani Fund. This code, after having been scheduled by Muzzioli and Pellegrino in 1991-92, has not been studied any further.
The drawings contained in code 34 bis are mostly copies of Pietro Santi Bartoli’s engravings from the Sepolcro de’ Nasoni (1680), the most famous works of art regarding antique painting, having a significant influence during the seventeenth and eighteenth century, due to its quality and interesting images regarding the Roman palaces as well. There is no doubt that 22 of the 26 drawings of the code are to be attributed to Felice Giani, which are some of the most ingenious and homogeneous of his works on antique revival. Apart from analyzing the single drawings the paper reflects on the importance obtained by the engravings produced by Bartoli, and generally about the collection of prints, Giani’s works as a whole and on the significance of the “copy” in his graphical and pictorial works.
Alcuni disegni di Felice Giani: tra vedutismo settecentesco e suggestioni romantiche
Sabina Carbonara Pompei
Nel fondo Lanciani, custodito presso la Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma, sono presenti alcuni album riconducibili alla mano del pittore Felice Giani (1758-1823). Fra questi il manoscritto 81/2 è uno di quelli che ha subito, nel corso del tempo, maggiori manomissioni. I disegni in esso conservati, mostrano, anche perché provenienti da più carnets, caratteristiche differenti. Alla luce di ciò si è ritenuto opportuno fare una selezione ed individuare, tra i numerosi elaborati contenuti nello stesso codice, dieci piccole vedute di Roma, realizzate a penna e tinteggiate a seppia. Tali vedute, come pure gli schizzi sul verso, presumibilmente databili tra il 1810 e il 1815 (A. Ottani Cavina, op. cit., vol. 2, pp. 923-925), attestano quanto Giani, anche nelle rappresentazioni dal vivo, non fosse insensibile alle suggestioni che gli provenivano dal contesto culturale contemporaneo. Il taglio compositivo e i soggetti scelti evidenziano difatti come il nostro pittore abbia riflettuto sui testi figurativi cinquecenteschi e seicenteschi, ma soprattutto sull’opera degli artisti a lui coevi.
In alcune composizioni egli combinò, in maniera puntuale, un edificio o edifici vicini tra loro, mentre, in altre, si dimostrò, accostando liberamente diversi monumenti romani, debitore nei confronti delle vedute fantastiche di Giovanni Paolo Pannini e Hubert Robert (C. De Seta, Introduzione, in Id. [a cura di], Imago Urbis Romae. L’immagine di Roma in età moderna, catalogo della mostra [Roma, Musei Capitolini, 11 febbraio-15 maggio 2005], Milano 2005, pp. 13-46). Sulla viva immaginazione di Giani influì senz’altro anche l’enorme diffusione di itinerari e raccolte di stampe relative alla città di Roma.
I disegni del manoscritto Lanciani, realizzati en plein air e ispirati da un’inquietudine visionaria più che da un rigore filologico, forniscono una documentazione dei luoghi visitati ma soprattutto una rappresentazione (e quindi un’interpretazione) in cui la fantasia sembra oltrepassare il monumento stesso. L’architettura o il reperto archeologico, in cui monumento e natura si compenetrano, diventano per il pittore struttura da indagare, da riprodurre, ma assumono anche un valore contemplativo ed inequivocabilmente evocativo.
In the Lanciani fund, which is kept in the Library of Archaeology and History of Art in Rome, there are some albums referable to the painter Felice Giani (1758-1823). The manuscript 81/2 is among them and the one that during the years has been tampered with the most. The drawings to be found within show different characteristics, also due to the fact that they come from various carnets. Due to this it was judged advisable to make a selection and pick out, among the various drawings in the same codex, ten little views of Rome, done in ink and shaded in sepia. These views, together with the sketches on the back, presumably dating between 1810 and 1815 (A. Ottani Cavina, op. cit., vol. 2, pp. 923-925), show how Giani, even in the live representations, was influenced by the contemporary cultural context. The composition together with the choice of subjects emphasize, in fact, how our painter reflected over the sixteenth and seventeenth century figurative arts, but was looking at the contemporary artists above all.
In some of the compositions he accurately united a building or buildings close to each other, whilst in others he put different Roman monuments together, a debtor to Giovanni Paolo Pannini and Hubert Robert’s (C. De Seta, Introduzione, in Id. [a cura di], Imago Urbis Romae. L’immagine di Roma in età moderna, catalogo della mostra [Roma, Musei Capitolini, 11 febbraio-15 maggio 2005], Milano 2005, pp. 13-46) fantastic views. Giani was greatly influenced by the enormous amount of itineraries and collection of prints about Rome.
The drawings contained in the Lanciani manuscript, done en plein air and inspired by a visionary anxiousness more than by rigorous philology, supply a documentation of the places he visited but are, above all, a representation (and therefore an interpretation) in which fantasy seems to go beyond the monument itself. The architecture or archaeological find, in which monument and nature permeate each other, become a form for the artist to investigate, to reproduce, but they also take on a contemplative value and are explicitly evocative.
Per essere novi nelle produzioni delle belle arti bisogna studiare sempre li primi bravi maestri.
Il manoscritto 81 di Felice Giani nella Collezione Lanciani
Elania Pieragostini
Il saggio si propone di analizzare il manoscritto 81 della collezione Lanciani conservato presso l’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma. Si tratta di un Liber Studiorum di Felice Giani (1758-1823) composto da 53 disegni, provenienti da album diversi e tratti quasi sempre da opere d’arte del passato. L’attenzione del pittore si focalizza, in particolar modo, sulle opere del Cinquecento e del Seicento, con un importante nucleo dedicato agli affreschi della Chiesa di Trinità dei Monti a Roma. Sui fogli il pittore annota l’autore ed il luogo da cui è tratto il disegno, talvolta con delle incongruenze e, grazie a due riferimenti presenti nei fogli 15 e 41, il Taccuino è databile fra il 1814 ed il 1820. Un aspetto interessante è costituito dalla presenza di 9 fogli con studi di anatomia, grottesche ed elementi decorativi nel verso: veri e propri repertori, questi vengono ripresi nei cicli pittorici, permettendoci, inoltre, di collegare opere attualmente conservate in collezioni diverse.
Il Taccuino 81 è da considerare, dunque, di particolare rilevanza nello studio del corpus grafico di Giani e si pone come esempio paradigmatico dell’importanza del disegno nella sua produzione: la copia non è semplice imitazione e la riflessione sulle opere d’arte del passato diviene parte dell’identità stessa del pittore.
The paper proposes to analyse manuscript 81 of the Lanciani collection kept in the National Institute of Archaeology and History of Art in Rome. We are dealing with a Liber Studiorum by Felice Giani (1758-1823) composed by 53 drawings coming from different albums and dealing mostly with works of art from the past. The painter’s attention is focalized on works from the sixteenth and seventeenth century in particular, with an important nucleus dedicated to the frescoes in the Trinità dei Monti church in Rome. On the drawings the painter notes down the author and place where it was done, every now and again there are some inconsistencies. Thanks to two references on sheets 15 and 41, the Notebook can be dated between 1814 and 1820. On 9 sheets there are studies of anatomy, grotesque plus decorative elements on the back which are rather interesting: authentic repertoires which are reintroduced into the pictorial cycle which also allow us to link works now kept in different collections.
Therefore, Notebook 81 is to be considered a work of particular importance in the research of Giani’s graphical corpus and puts itself as a paradigmatic example of the importance of drawing in his production: copying is not simply an imitation and the reflection on the works of the past become part of the painter’s identity.
I Taccuini di Giovanni Battista Cipriani
Elisa Debenedetti
Si sono presi in considerazione i sette Taccuini di Giovanni Battista Cipriani custoditi presso la BiASA, ponendoli a confronto con i manoscritti e con le opere a stampa, e basandosi soprattutto sui preziosi inediti custoditi presso la Biblioteca Angelica. Si sono così individuate tre fasi precise: la prima, di apprendistato e di studio, riconducibile al Libraccio, presso la Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma; la seconda, forse la più viva e creativa, delle “Vedute”, da connettere ai Monumenti inediti e alle Vedute in contorno; la terza, più “architettonica”, delle Giornate pittoriche, il cui manoscritto non era stato finora mai studiato. Fra la seconda e la terza fase si notano, in un artista certo allineato alle più avanzate correnti del pensiero illuminista, delle identità ravvisabili nel tema prevalente dell’architettura antica e moderna ambientata nel paesaggio, mentre il segno si evolve in direzione di una maggiore stilizzazione; tali componenti lo accomunano ad altri vedutisti contemporanei, quali Angelo Uggeri o Luigi Rossini, nei quali è evidente un eco dei lavori di Giovanni Paolo Pannini soprattutto attraverso l’opera del figlio Francesco, artisti, questi ultimi, particolarmente documentati nella Collezione Lanciani.
Giovanni Battista Cipriani’s seven Notebooks are kept in the BiASA where they have been examined, comparing them with the manuscripts and printed works that are kept in the Angelica Library, concentrating above all on those regarding the precious unpublished works. It has therefore been possible to identify three precise stages: the first in apprenticeship and studies, referable to the Libraccio, in the Vittorio Emanuele II National Library of Rome; the second, perhaps the most alive and creative, concerning the “Views”, connecting them to the Monumenti inediti and to the Vedute in contorno; the third, more “architectural”, of the Giornate pittoriche, whose manuscript has not been studied until now. One can see, between the second and third stages, an artist who is certainly up to date with the most advanced thoughts of enlightenment, identities that are recognizable in the prevailing theme of antique and modern architecture adapted into the landscape, whilst the tracing becomes more stylized; these components put him in common with other contemporary landscape painters, like Angelo Uggeri or Luigi Rossini, where an echo of Giovanni Paolo Pannini is plain to see, above all through his son Francesco’s work, the last two artists are supported in particular by documents in the Lanciani Collection.
I disegni e dipinti di Giuseppe Angelelli relativi alla Spedizione franco-toscana in Egitto (1828-1829)
nella Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma
Marilina Betrò
La Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte a Roma conserva 75 disegni e dipinti di Giuseppe Angelelli (Coimbra, 1803 - Firenze 1849), uno dei pittori della Spedizione franco-toscana in Egitto nel 1828-29, evento fondante della moderna egittologia. Acquisiti nel 1942, essi appartenevano al portafoglio personale del pittore, realizzato in Egitto nei ritagli di tempo che gli lasciava il lavoro di copia delle scene e dei testi geroglifici sulle pareti dei templi e delle tombe: si tratta di vedute di monumenti antichi, paesaggi, alcuni ritratti. A differenza dei disegni e acquerelli commissionatigli dalla Spedizione, quasi tutti pubblicati e conservati presso la Biblioteca Universitaria di Pisa, i lavori in BiASA erano stati solo in piccola parte descritti e riprodotti fino ad oggi (Paribeni 1943; Tosi 2000); 43 di essi, in particolare, non erano finora conosciuti, così come era ormai ignota l’ubicazione del bozzetto ad olio del grande quadro della Spedizione che Angelelli eseguì tra 1830 e 1836, esposto nel Museo Egizio di Firenze, ritrovato in occasione di questo studio presso l’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte. Il fascino dei lavori conservati in BiASA non esaurisce peraltro il loro valore: il saggio mette in rilievo la loro importanza come documenti storici e memoria preziosa di un paesaggio architettonico ed etnografico ormai quasi interamente scomparso e, soprattutto, l’apporto che essi possono dare alla ricostruzione del paesaggio archeologico egiziano, in particolare dell’antica Tebe d’Egitto.
The Library of Archaeology and History of Art in Rome holds 75 drawings and paintings done by Giuseppe Angelelli (Coimbra 1803 – Firenze 1849), one of the painters of the French-Tuscany Expedition to Egypt in 1828-29, the cornerstone of modern Egyptology. Acquired in 1942, they belonged to the painter’s personal portfolio, and were accomplished in Egypt in his spare time while at work on copying the scenes and hieroglyphic texts on the walls of the temples and tombs: we are dealing with views of antique monuments, sceneries and some portraits. Unlike the drawings and watercolours commissioned by the Expedition, almost all of which are publicized and kept in the University Library of Pisa, the BiASA works had been described and reproduced only partially up until now (Paribeni 1943; Tosi 2000); 43 of these, in particular, were not even known until now, like the oil sketch of the big painting of the Expedition, its location was lost to memory, which Angelelli did between 1830 and 1836. It had been exhibited in the Egyptian Museum of Florence, and has now been discovered thanks to this study at the National Institute of Archaeology and History of Art. The fascination of the art works kept in BiASA don’t run short however of their value: the paper underlines their importance as historical documents and precious memory of an architectural and ethnographical scenery which has almost completely disappeared and, above all, the contribution that these can give to the reconstruction of the Egyptian archaeological scenery, particularly of antique Tebe in Egypt.
I disegni Lanciani di Pietro Camuccini. Un artista, mercante e collezionista
tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento
Pier Ludovico Puddu
Il presente contributo prende in esame quattro disegni inediti conservati nel ms. 132 del Fondo Lanciani presso la BIASA e attribuiti a Pietro Camuccini (1761-1833), figura ancora poco nota di artista, restauratore, mercante e collezionista. I disegni rappresentano le quattro statue di santi della Loggia delle Reliquie in San Pietro e costituiscono la base della serie di incisioni realizzata da Pietro Leone Bombelli nel 1781, nota in diversi esemplari. Le iscrizioni sulle stampe permettono di confermare l’attribuzione a Camuccini per tre dei disegni Lanciani, mentre il quarto va ricondotto alla mano di Costanzo Angelini (1760-1853). Questi disegni sono una rara testimonianza della produzione grafica di Pietro Camuccini, finora completamente inedita, a cui si aggiungono altri tre studi anatomici qui pubblicati. Vengono inoltre approfonditi in questa sede alcuni aspetti chiave delle numerose attività artistiche svolte da Camuccini nell’arco della sua vita. Dopo avere ricevuto una formazione artistica in ambiente romano, Pietro abbandona precocemente l’esercizio della pittura per dedicarsi al restauro e al commercio di opere d’arte. Dal 1794 Camuccini si associa con il mercante inglese Alexander Day (1751-1841), svolgendo un ruolo importante nell’ambito della circolazione internazionale di numerosi capolavori pittorici, mentre a partire dai primi anni dell’Ottocento si dedica prevalentemente alla costituzione di una personale quadreria, al fine di arricchire il prestigio della propria famiglia. Dopo la sua morte la collezione viene venduta dall’erede, il nipote Giovanni Battista, che ne reinveste i proventi in beni immobili destinati alla primogenitura Camuccini, obbedendo così alle volontà testamentarie dello zio Pietro.
This paper examines four unpublished drawings kept in ms. 132 of the Lanciani Fund in BIASA and attributed to Pietro Camuccini (1761-1833). He was an artist, restorer, merchant and collector but was more or less unknown. The drawings represent the four statues of saints in the Relics Loggia in St. Peters, forming the basis of a series of engravings accomplished by Pietro Leone Bombelli in 1781, several examples of which are famous. The print engravings allow us to confirm that three of the Lanciani drawings can be attributed to Camuccini, whilst the fourth can be traced back to Costanzo Angelini (1760-1853). These drawings are a rare testimony of Pietro Camuccini’s graphic production, completely unknown up until now, to which must be added three anatomical studies published here. Other key aspects are investigated here regarding the numerous artistic activities carried out by Camuccini during his life time. After having received an artistic education in Rome, Pietro leaves his painting activity and devotes himself to restoring and trading works of art. In 1794 Camuccini goes into partnership with the English merchant Alexander Day (1751-1841), having an important role in the international circulation of numerous painted masterpieces. At the beginning of the nineteenth century he starts to establish a personal picture gallery in order to enrich his family’s prestige. After his death, his collection was sold by his heir and nephew Giovanni Battista, who reinvested the proceeds in real estate entitling them to Camuccini’s first born child, andso obeying his uncle Pietro’s wishes.
Disegni di vedute e antichità di Roma di Agostino Penna (1807-1881). Incisore e archeologo romano
Pier Paolo Racioppi
In questo saggio si traccia per la prima volta la biografia dell’incisore e archeologo romano Agostino Penna (1807-1881), omonimo dello scultore settecentesco suo nonno, e se ne analizza la personalità artistica e quella di studioso di archeologia. Noto in particolare per aver scritto ed illustrato i tomi del Viaggio Pittorico della Villa Adriana (1831-1842), Penna fu attivo anche, tra il terzo e il quarto decennio del secolo, come vedutista. Presso la Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma restano numerosi disegni preparatori per vedute di siti e monumenti romani, improntati inizialmente da un gusto ancora pittoresco, vagamente piranesiano, in seguito da un approccio analitico e filologico, quasi fotografico, che lo mostrano aggiornato sulla cultura archeologica del suo tempo dominata dalla figura di Antonio Nibby.
Il confronto con l’opera grafica di altri incisori, Luigi Rossini in particolare, mette in evidenza lo sforzo compiuto dall’artista nell’offrire immagini di monumenti di Roma dal taglio inedito, non convenzionale. La carriera di Penna fu di breve durata: da una parte la concorrenza di un grandissimo numero di vedutisti attivi a Roma a metà del secolo, dall’altra alcune critiche rivolte alle sue illustrazioni del Viaggio Pittorico della Villa Adriana dovettero indurlo ad abbandonare entrambe le professioni di incisore e di studioso di archeologia. A rivalutare l’opera su Villa Adriana e in generale la figura di Penna sarebbe intervenuto Rodolfo Lanciani, seguito dalla critica più recente.
For the first time this paper will trace the biography of the engraver and Roman archaeologist Agostino Penna (1807-1881) – homonym of his grandfather, an eighteenth century sculptor – where the artistic personality and academic archaeologist will be analysed. Renowned in particular for having written and illustrated the tomes Viaggio Pittorico della Villa Adriana (1831-1842), Penna was also active as a landscape painter, between the third and fourth decade of the century. In the Library of Archaeology and History of Art in Rome there are various preparatory drawings of site landscapes and Roman monuments initially characterized by a picturesque taste, vaguely recalling Piranesi, subsequently by an analytical and philological approach, almost photographic, which show how he is well informed about the archaeological culture of his time, dominated by the figure of Antonio Nibby.
In comparing the graphic works of other engravers, Luigi Rossini in particular, we can see the effort engaged by the artist in offering images of Roman monuments with an original perspective. Penna’s career didn’t last long: on the one hand the competition of a great number of landscape painters active in Rome during the middle of the century, on the other some of the critics referring to his illustrations of the Viaggio Pittorico della Villa Adriana must have convinced him to abandon both professions as engraver and academic archaeologist. Rodolfo Lanciani was the person who reappraised the work on Villa Adriana and Penna in general, followed by the most recent critics.
I disegni dall’antico di Carlo Ruspi (1786-1863) nel manoscritto 80 del Fondo Lanciani
Beatrice Cirulli
Degli ottantacinque disegni del XIX secolo contenuti nel manoscritto 80 – raffiguranti perlopiù antichità e opera di artisti diversi (Luigi Gregori, Raffaele Trebbi, Vittore Pedretti, Carlo Ruspi ecc.) – il contributo propone innanzitutto una lettura complessiva. Ad essa segue un approfondimento dedicato ai fogli di Carlo Ruspi(1786-1863), antiquario, pittore, copista, incisore e restauratore, noto agli studi soprattutto per i suoi lucidi e per le sue copie a grandezza naturale delle pitture delle necropoli di Tarquinia e Vulci. L’analisi diretta del codice – fatto comporre da Rodolfo Amedeo Lanciani al principio del Novecento con fogli provenienti, per la gran parte, dalla bottega romana del libraio-antiquario Pietro Pieri (Roma, 1826-1908) – mette in luce come molte delle prove grafiche del manoscritto mostrino caratteri o presentino iscrizioni che consentono di ricondurle a illustrazioni apparse in pubblicazioni a tema antiquario stampate a Roma fra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento. Anche il consistente nucleo di disegni del Ruspi risulta realizzato per soddisfare le esigenze di conoscenza degli antiquari. L’attenta lettura dei fogli e delle loro iscrizioni – congiunta ad una originale ricerca dedicata alla sua formazione e all’attività di disegnatore-incisore – consente di dimostrare che alcuni dei fogli dell’artista furono eseguiti quali illustrazioni poi apparse su pubblicazioni periodiche romane mentre altri, quelli meglio risolti e più finiti, furono da lui eseguiti a Roma e in “Etruria” fra il 1829 ed il 1830 su commissione dell’archeologo tedesco Eduard Gerhard (Poznan 1795-Berlino 1867), fondatore e primo direttore del futuro Istituto Archeologico Germanico.
This contribution introduces an overall reading of the eighty-five nineteenth century drawings contained in manuscript 80 – portraying above all, antiques and works of art by different artists (Luigi Gregori, Raffaele Trebbi, Vittore Pedretti, Carlo Ruspi etc.). Following there is an elaboration on Carlo Ruspi’s (1786-1863) drawings. He was an antique dealer, painter, copyist, engraver and renovator, famous among academics for his transparencies and his life-size copies of the Tarquinia / Vulci necropolis paintings. At the beginning of the twentieth century Rodolfo Amedeo Lanciani made it possible for us to make a research regarding this code. The drawings came mainly from the Roman antique/book dealer Pietro Pieri (Rome 1826-1908) and point out how many of the manuscript’s graphic tests show prints, or produce inscriptions, which allow us to trace them back to illustrations with an antique theme. They appear in publications that were printed in Rome between the end of the eighteenth and middle of the nineteenth century. Even the considerable nucleus of Ruspi’s drawings were realized to satisfy the antique dealers’ need for knowledge. The careful reading of the papers with their inscriptions, plus an original research dedicated to Ruspi’s formation as a drawer/engraver, allow us to demonstrate that some of the artist’s drawings were done as illustrations which then appeared in Roman periodicals. The more refined ones were done by Ruspi in Rome and in “Etruria” between 1829 and 1830 and were commissioned by the German archaeologist Eduard Gerhard (Poznan 1795 – Berlin 1867), promoter and first director of the future German Institute of Archaeology.
Due progetti decorativi inediti di Romolo Liverani per Faenza
Francesca Lui
Due inediti progetti per decorazioni d’interni, conservati nelle collezioni dell’Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte di Roma, vengono qui attribuiti a Romolo Liverani (1809-1872), arricchendo il catalogo dell’artista faentino – scenografo, decoratore, vedutista e pittore di paesaggio, attivo in patria e nei territori delle Romagne tra la prima e la seconda metà dell’Ottocento. Liverani aggiorna la grande tradizione decorativa neoclassica della sua città natale alle tematiche del Romanticismo, contaminandola con motivi tratti dal repertorio della pittura di vedute e di paesaggio. La sua attività di scenografo procede in parallelo con quella di pittore di grandi decorazioni murali, di cui rimangono esempi soprattutto in ambito faentino. È il caso dei due disegni in esame, d’impostazione prospettica, datati 1830 e 1832, progettati per due grandi decorazioni: la prima, per casa Tampieri (oggi perduta); l’altra, per l’ex-convento della Chiesa dei Servi, oggi sede della Biblioteca Comunale Manfrediana di Faenza. In entrambi i progetti emerge la fusione dell’elemento architettonico con quello scenografico e paesistico, con il ricorso agli stessi artifici illusionistici e alle medesime soluzioni cromatiche che l’artista adottava per realizzare le sue suggestive scene teatrali.
Two internal decoration projects, kept in the collections of the Institute of Archaeology and History of Art in Rome, are here attributed to Romolo Liverani (1809-1872). Both are unpublished and both enrich the Faenza artist’s catalogue. He was a stage designer, decorator, panorama and landscape painter, active at home and in the Romagna territories between the first and second half of the nineteenth century. Liverani renews his native city’s great decorative neoclassical tradition to the themes of Romanticism, contaminating it with motifs from the panorama and landscape repertoire. He is both a stage designer and a painter of big wall decorations, examples of which remain, above all, in the Faenza ambit. This regards the case of the two drawings in question, they have the perspective approach and were projected for two big decorations dating 1830 and 1832: the first for the Tampieri house (now lost); the other for the ex-convent of the Chiesa dei Servi, now seat of the Biblioteca Comunale Manfrediana in Faenza. In each project there emerges the fusion between the architectural element with the scenography and landscape, resorting to the same illusionistic skills and same chromatic solutions that the artist used to achieve his suggestive theatrical scenes.
Ornati fiorentini d’inizio Ottocento. I disegni di Vincenzo Marinelli “peritissimo” stuccatore
Cristiano Giometti
Il volume 47 A della collezione Lanciani raccoglie 70 fogli illustrati con disegni a china di ornati e decorazioni architettoniche, che delineano un coerente percorso tra le maggiori fabbriche fiorentine d’inizio Ottocento. Ciascuna invenzione è affiancata da una piccola ma preziosa didascalia in cui compare, quasi ad ogni carta, il nome di “Marinelli” che, di volta in volta, si definisce “inventore” o “esecutore” di quei bianchissimi fastigi parietali. Il riscontro tra le imprese menzionate e i dati storici, in buona parte già emersi dagli studi, permette di indentificare il disegnatore con quel Vincenzo Marinelli maestro stuccatore, operosissimo a Firenze all’esordio del secolo XIX. L’ampiezza cronologica dei saggi riprodotti abbraccia l’intera carriera dell’artista e consente, in taluni casi, di puntualizzare con maggiore chiarezza il suo effettivo ruolo in seno ai diversi gruppi di lavoro; ne scaturisce il profilo di plasticatore capace, dotato di una discreta autonomia creativa, ma troppo spesso confuso nella fitta schiera di maestri decoratori attivi in quell’intensa stagione artistica che visse Firenze negli anni tra la dominazione francese e la Restaurazione che segnò il ritorno dei granduchi lorenesi.
The 47 A volume of the Lanciani collection contains 70 illustrated pages of China ink drawings of decorations and architectural ornamentations, which trace a coherent route through the major Florentine factories during the beginning of the nineteenth century. Each invention is flanked by a small but precious caption in which there appears, more or less on each page, the name “Marinelli” who in turn, defines himself as “inventor” or “executor” of those very white wall gables. The comparison between the above mentioned initiatives with the historical dates, which had already emerged, allow us to identify the drawer as Vincenzo Marinelli, stucco master, very active in Florence at the beginning of the nineteenth century. The chronological breadth of the reproduced papers cover the artist’s whole career and allow, in some cases, to clearly specify his effective role in the different work groups; the result being that he was a capable modeller, having a discrete creative autonomy, but was frequently confused with many of the other decorators active during that intense artistic period that Florence lived during the years between the French dominion and the Restoration, which marked the return of the grand dukes from Lorraine.